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Aurora magazine

I big data aiutano a stanare l’autismo

I ricercatori si stanno affidando sempre di più all’analisi dei big data per studiare le radici genetiche dell’autismo. Lo scopo è comprendere l’esatto funzionamento della malattia, oltre che elaborare test del DNA che ne facilitino la diagnosi.

Ad aprile 2007 il dottor Micheal Wigler aveva mostrato che le persone autistiche sono spesso accomunate da alcune anomalie genetiche. Le mutazioni sono variazioni del numero di copie (CNV), ovvero la presenza o meno di parti di DNA ripetute. La scoperta ha consentito di approfondire aspetti quali l’ereditarietà di alcune forme di autismo. Un giorno potrebbe portare anche all’elaborazione di test per la diagnosi prenatale.

La scoperta del ruolo delle CNV nell’autismo ha spinto i ricercatori a cercare tutti i geni legati al disturbo. Si sono concentrati su quelli che codificano le proteine, in campioni presi da soggetti con casi di autismo in famiglia. La premessa era comparare tra loro i geni di coloro esposti alle mutazioni genetiche. Grazie ai dati di oltre 600 famiglie, gli scienziati hanno rilevato centinaia di geni coinvolti nello sviluppo dell’autismo. Tra questi ci sono però 6 geni con un ruolo superiore agli altri.

Nel 2014 il team ha portato avanti due nuovi studi, basati sui test del DNA di oltre 20 mila persone. I ricercatori hanno così collegato 50 geni all’autismo. Grazie alle analisi sulle famiglie, hanno inoltre cercato le varianti genetiche sia ereditarie sia de novo. In questa maniera hanno ristretto il cerchio a 10 geni. Studi successivi hanno aggiunto 65 nuovi geni chiave alla lista, più 6 CNV.

Tutti questi studi hanno mostrato un collegamento tra geni e autismo. L’autismo si sta quindi sempre di più configurando come malattia genetica, più che malattia psichiatrica. Ciò significa che si potrebbero unire i dati raccolti ai nuovi strumenti di sequenziamento del genoma e alla statistica. Il risultato potrebbe essere una maggiore facilità di diagnosi e, perché no, di prevenzione della malattia.

Fonte: scientificamerican.com