Recensioni verificate Soddisfatta del servizio.
Personale disponibile e gentile. Lo consiglio a tutti ...
Cliente Sorgente Genetica
logomysorgente

02  4948  5291

Aurora magazine

Disturbi emotivi trasmessi di madre in figlia

Uno studio apparso sul Journal of Neuroscience avrebbe dimostrato che le figlie femmine erediterebbero la struttura del sistema corticolimbico dalla madre.

Il sistema corticolimbico è un insieme di aree cerebrali coinvolte nella regolazione delle emozioni, il cui cattivo funzionamento sta alla base di alcuni disturbi emotivi come la depressione.

Gli scienziati hanno osservato 35 coppie di genitori e figli, tutti tra i cinque e i tredici anni e tutti senza diagnosi di disturbi dell’umore. I soggetti sono stati sottoposti a test per valutare ansia, depressione e, aggressività, disturbi dell’attenzione e iperattività. È stata inoltre misurata la densità di materia grigia nelle aree del cervello che compongono il corticolimbico. Dai risultati emergerebbe un’associazione tra madre e figlia molto più forte rispetto a tutte le altre possibili, il che renderebbe molto più probabile l’ipotesi che certi disturbi siano trasmessi di madre in figlia.

Se anche questa ipotesi fosse confermata, non bisogna però pensare che una madre depressa comporti automaticamente una figlia depressa. I disturbi emotivi sono determinati da molti fattori, tra i quali l’ambiente sociale e le esperienze di una persona. L’ereditarietà sarebbe dunque solo uno dei tasselli e lo studio aiuterebbe la ricerca sui modelli di trasmissione intergenerazionale nel cervello umano, per comprendere in che modo le strutture cerebrali vengono ereditate.

Per avere un quadro più ampio, gli studiosi stanno prendendo in esame anche famiglie con figli concepiti mediante fecondazione in vitro, casi di maternità surrogata e di fecondazione omologa. Saranno osservati, in particolare, i casi in cui gli ovociti provengono da una donatrice esterna alla coppia: qui si ha l’influenza materna prenatale e post-natale, ma manca l’input genetico materno. Nei casi di maternità surrogata, invece, ci sono l’influenza genetica della madre e quella post-natale, ma manca quella prenatale.

L’osservazione di tutti questi casi dovrebbe servire a comprendere quale sia il peso della genetica nella trasmissione dei disturbi emotivi, quale quello dell’ambiente. In questo modo di spera di individuare i soggetti a rischio prima dell’insorgenza di eventuali problemi.

Fonte: lastampa.it

Add a comment

Predire le probabilità di successo della fecondazione in vitro

Un team di scienziati dell’University Medical Center Utrecht e dell'Academic Medical Centre di Amsterdam avrebbero trovato un modo per predire le probabilità di successo della fecondazione in vitro.

I ricercatori avrebbero infatti individuato una sorta di impronta digitale genetica nel grembo materno, indice di un probabile fallimento della gravidanza. La scoperta, se confermata, potrebbe risparmiare molte sofferenze alle tante coppie che ogni anno ricorrono inutilmente alla fecondazione assistita.

Nei casi in cui il transfer di embrioni sani fallisce per più di tre volte, rendendo impossibile l’impianto dell’embrione nell’utero e la gravidanza, si parla di fallimento ricorrente dell’impianto embrionario. I ricercatori hanno effettuato delle biopsie endometriali su quarantatré donne aventi numerosi fallimenti alle spalle. Le analisi sono state confrontate con quelle di settantadue donne rimaste incinte grazie alla fecondazione in vitro. Tutte le donne con problemi di attecchimento dell’embrione avrebbero in comune un’anomali nell’espressione genetica dell’endometrio. Al contrario, questa anomalia non sarebbe presente in nessuna delle altre settantadue donne.

La ricerca ha due grandi valenze. Da una parte, permette di capire se è il caso che una donna che ha già attraversato tanti insuccessi continui a tentare, investendo fatica e denaro in una gravidanza che probabilmente non arriverà. Dall’altra fornisce ulteriori informazioni sul processo di impianto dell’embrione umano, pur non essendo una scoperta “definitiva” per comprendere il processo. L’uomo è infatti un animale estremamente poco fertile e i nostri embrioni fanno molta fatica ad attecchire, spesso a causa di anomali genetiche per il resto invisibili.

Se lo studio dovesse andare avanti, potrebbe portare tra qualche anno ad avere un valido strumento diagnostico.

Fonte: adnkronos.com

Add a comment

Diagnosticare i tumori grazie a un test del sangue

La società di San Diego Illumina ha annunciato la possibilità di diagnosticare un tumore nelle sue prime fasi analizzando un campione di sangue del paziente.

Nel sangue sarebbero infatti presenti minuscole quantità di materiale genetico del tumore, identificabili con un semplice test. Questo ambizioso progetto della società Illumina sarà sviluppato con Grail, compagnia che annovera tra i suoi investitori Bill Gates e Jeff Bezos (fondatore di Amazon).

Il test sarebbe possibile grazie al sequenziamento genetico, che identificherebbe DNA o RNA del tumore prima che si manifestino i sintomi. Questa diagnosi precoce potrebbe quindi migliorare il successo dei trattamenti: il test potrebbe essere infatti utilizzato su pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di tumore per valutare l’efficacia delle terapie intraprese.

La tecnologia del sequenziamento del genoma umano viene già usata come tecnica per lo screening prenatale, nella quale si analizzano i frammenti di DNA fetale presenti nel sangue della madre per rilevare anomalie cromosomiche quali Sindrome di Down e Trisomia 18.

Circa 18 mesi fa la società ha iniziato la messa a punto del test e potrebbe essere necessario svolgere delle ricerche per un altro anno per poter sviluppare il test ed avviare la sperimentazione. Questa avverrà in collaborazione con la Food and Drug Administration americana analizzando oltre 300 mila genomi: la sperimentazione potrebbe durare per circa due anni e il test potrebbe entrare in commercio nel 2019.

Il costo di ogni test si potrebbe aggirare tra i 500 ei 1.000 dollari e la speranza è che nel futuro il prezzo possa diventare più sostenibile anche per i privati.  

Fonte: salute24.ilsole24ore.it

Add a comment

Nuovo bersaglio molecolare per trattare la Sindrome di Duncan

Un team di ricerca internazionale avrebbe scoperto una nuova possibile terapia contro la Sindrome di Duncan. Bloccando l’attività di un nuovo bersaglio molecolare, il DGKa, si riuscirebbe infatti a fermare la progressione della malattia. 

La Sindrome di Duncan, detta anche sindrome linfoproliferativa, è una malattia genetica legata al cromosoma X e generalmente asintomatica. Si manifesta solo quando il portatore sano viene esposto dal virus di Epstein-Barr, al quale il 95% della popolazione adulta risulta positiva. Il virus è normalmente asintomatico, ma nei soggetti con la Sindrome di Duncan scatena una mononucleosi infettiva fulminante. La mononucleosi provoca una violenta risposta del sistema immunitario, che causa danni a fegato, milza, midollo osseo e cervello.

Il 70% dei bambini con la Sindrome di Duncan, se non trattati con il trapianto di midollo, muoiono prima dei dieci anni.  Purtroppo il trapianto è efficace solo se effettuato prima dell’esposizione al virus.

Lo studio affonda le radici in una ricerca dell’Università del Piemonte Orientale, guidata da Andrea Graziani. Il team aveva scoperto che l’enzima DGKa, normalmente reso inattivo dall’incontro dei linfociti-T con il virus di Epstein-Barr, resta attivo in assenza della proteina Sap nei linfociti. In questi casi, il DGKa consuma il diacilglicerolo, una molecola che dovrebbe segnalare la presenza del virus in modo da svilupparne la risposta.

A partire da questa scoperta, i ricercatori hanno ipotizzato che spegnendo l’enzima si potrebbe riattivare il sistema immunitario. I linfociti in eccesso sarebbero quindi eliminati, smettendo di accumularsi nei tessuti e bloccando l’avanzamento della malattia. Per ora la ricerca è stata condotta solo sul modello animale, ma l’obiettivo è proseguire con i trial clinici e arrivare a sviluppare nuovi farmaci.

Lo studio è stato coordinato dal Professor Andrea Graziani, docente di biochimica all’Università Vita-Salute San Raffaele. È stato inoltre condotto in collaborazione con l’Uniformed Services University of the Health Sciences; il St. Jude Children’s Research Hospital; l’Università degli Studi di Siena; il National Institutes of Health. Tutto questo è stato reso possibile dai finanziamenti raccolti dalla Fondazione Telethon.

Fonte: corriere.it

Add a comment