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Aurora magazine

Svelati i segreti della comunicazione cellulare tra madre e feto

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas ha svelato come comunicano le cellule materne e quelle fetali. Grazie a queste informazioni, sarà possibile sviluppare dei test non invasivi che monitorino lo stato di salute di entrambi durante la gestazione.

Nel corso dei nove mesi, la comunicazione tra cellula materne e fetali è costante. I mezzi sono sacchi chiamati esosomi, che contengono sostanze chimiche particolari. Studi precedenti hanno già mostrato che gli esosomi fetali segnalano all’organismo materno quando tutti gli organi sono maturi. In questo modo il corpo della madre può dare il via al travaglio e al parto. Con le giuste tecnologie, si potrebbero usare questi segnali per monitorare lo stato dello sviluppo fetale.

I ricercatori hanno usato delle cavie dotate di esosomi fluorescenti. In questo modo le proteine da essi prodotti e contenute nei campioni erano più facili da individuare. Questo ha permesso loro di distinguere tra esosomi materni e fetali, così da comprendere meglio le comunicazioni in atto.

Da quanto è emerso, gli esosomi fetali sono un indicatore affidabile dello stato di salute del feto. Per misurarli basta un campione di sangue materno, il che potrebbe aprire le porte a una nuova generazione di test prenatali non invasivi. Inoltre, le analisi hanno svelato le funzioni particolari degli esosomi materni.

Agire sugli esosomi della madre potrebbe produrre cambiamenti funzionali nel feto. Con i giusti farmaci, potrebbe addirittura prevenire fenomeni come i parti pretermine e tutto quello che ne consegue. Si potrebbero legare farmaci specifici agli esosomi, in modo da far superare loro la placenta per prevenire infiammazioni fetali. Ciò avrebbe un impatto positivo su 15 milioni di gravidanze ogni anno e potrebbe prevenire 1 milione di morti neonatali l’anno.

Fonte: utmb.edu

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Sempre più donne incinte sono esposte al gadolinio

Il gadolinio è un agente di contrasto usato nella risonanza magnetica, sconsigliato in gravidanza. Secondo uno studio del dottor Steven Bird, sempre più donne nelle prime fasi della gestazione sono invece esposte a questa sostanza. I risultati potrebbero prevenire tanti di questi casi, che di solito si verificano quando la donna non sa ancora di essere incinta.

Circa il 45% delle risonanze magnetiche statunitensi utilizza il gadolinio come agente di contrasto. Studi recenti dimostrano che l’organismo potrebbe trattenere parte della sostanza anche dopo l’analisi, con conseguenze per il momento poco chiare.

Il gadolinio può attraversare la barriera della placenta ed entrare nell’organismo del feto. I medici non sanno ancora come questo potrebbe influenzare lo sviluppo; secondo alcuni studi, il gadolinio potrebbe avere conseguenze negative sul feto. Di conseguenza, i medici sconsigliano l’uso della sostanza alle donne incinte. L’unica eccezione è quando la vita di donna e bambino sono in pericolo e la risonanza magnetica è assolutamente necessaria.

I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti da 16 partner del FDA's Sentinel System, un programma per i questionari in ambito medico. Su 4.692.744 nuovi nati, 5.457 sono stati esposti alla sostanza in fase prenatale. Il numero corrisponde a circa 1 bambino ogni 860 gravidanza. Gran parte dei casi sono legati ad analisi di testa, pelvi e addome. Circa 3 casi su 4 si verificano nelle primissime fasi del primo trimestre, quando la donna non sa di essere incinta.

Gli autori dello studio suggeriscono di sottoporre un questionario alle donne in età fertile che devono fare una risonanza. In questo modo si potrebbe chiedere loro se c’è la possibilità che siano incinte e, nel caso, valutare delle alternative.

Fonte: rsna.org

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Diagnosticare la carenza di ferro in gravidanza sarà più facile

Un team dell’Ospedale St. Michael ha sviluppato uno strumento per diagnosticare le carenze di ferro in gravidanza. Al suo interno ci sono analisi clinica e risorse per i medici, che dovrebbero rendere più facile l’individuazione di eventuali carenze. I ricercatori hanno confrontato la precisione e il numero dei test fatti con e senza lo strumento.

I test tradizionali si limitano a misurare i livelli di ferritina nel sangue, una proteina contenente il ferro. In questo modo i medici riescono a stimare quali sono i livelli di ferro nell’organismo e, se serve, possono prescrivere degli integratori.

Se non trattata, la carenza di ferro in gravidanza ha effetti negativi sulla salute di madre e figlio. Alla lunga può causare anemia, parto pretermine, peso ridotto alla nascita, problemi nello sviluppo del bambino. Ecco perché è importante individuarla il prima possibile e in modo chiaro. Purtroppo non tutte le future mamme lo sanno.

Lo strumento sviluppato dagli autori dello studio fornisce una guida e supporto alle donne in attesa. Si stima che a un anno dalla sua implementazione, abbia aumentato di quasi 10 volte il numero di test effettuati presso l’ospedale. Il numero maggiore di test ha ridotto il rischio di anemia nelle donne incinte, con effetti benefici per la salute di future mamme e bambini. L’anemia riduce infatti l’apporto di ossigeno agli organi della donne e del feto, mettendone a rischio il corretto sviluppo.

Fonte: stmichaelshospital.com

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Basta poco alcol per aumentare il rischio di aborto

Le donne che bevono alcol in gravidanza hanno il 19% di probabilità in più di abortire. Lo afferma uno studio della Vanderbilt University School of Medicine. Secondo i ricercatori, bastano meno di 5 drink a settimana per raggiungere quel livello di rischio, che aumenta del 6% ad ogni drink.

Più della metà delle donne statunitensi ha bevuto nelle prime fasi della gravidanza, quando non sapeva di essere incinta. Si credeva che il consumo di alcol in gravidanza aumentasse lo stress ossidativo del feto, provocando danni cellulari. Secondo i ricercatori, era questa la causa degli aborti spontanei legati al bere durante la gestazione. Lo studio in questione dà invece un’altra spiegazione.

L’autore dello studio ha rivisto gli studi pubblicati tra il 1970 e il 2019 riguardanti gli aborti da alcol. Di questi, ne ha selezionato 24 che rispettavano i criteri per rientrare nello studio in questione. Al loro interno c’erano i dati di più di 231.000 donne incinte. Dalle nuove analisi è emerso un collegamento tra percentuale di rischio, quantità di alcol consumato, periodo nel quale è stato consumato.

Gran parte delle donne smette di consumare alcolici nel momento in cui scopre di essere incinta. In che modo questo influenza la gravidanza e lo sviluppo fetale? Da quanto emerge, le primissime settimane è quando il consumo di alcol è più pericoloso. Proprio quando tante donne non sanno di essere incinte e continuano quindi a bere. Questo potrebbe spiegare parte degli aborti spontanei che rimangono senza apparente spiegazione.

Fonte: mc.vanderbilt.edu

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