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Aurora magazine

Nuovo trattamento contro la sindrome dell’X fragile

La sindrome dell’X fragile è una delle più comuni forme di ritardo mentale di origine genetica. Un gruppo di ricercatori dell'Università del Wisconsin di Madison ha scoperto che un farmaco anticancro potrebbe far regredire la malattia. Per il momento i test sono stati effettuati solo su modelli animali.

La sindrome dell’X fragile è legata a una anomalia genetica riscontrabile in un bambino su 40.000 e in una bambina su 7.000. Provoca una interruzione nella produzione della proteina Fmrp e Xinyu Zhao, a capo della ricerca, ne studia da tempo le conseguenze. Una sua ricerca del 2011 aveva dimostrato che l’assenza della proteina nella zona in cui si formano i ricordi provoca deficit di memoria. I sintomi rilevati nelle cavie sono risultati simili a quelli dell’X fragile. Mediante la riattivazione della Fmrp, Zhao aveva ripristinato la formazione di ricordi.

L’ultimo studio si concentra sulle conseguenze della carenza di Fmrp e ha rilevato i possibili effetti del Nutlin-3 contro di essa. Il Nutlin-3 è un farmaco sperimentale usato contro il tumore alla retina ed è stato somministrato alle cavie per due settimane. Dopo un mese i topi hanno mostrato segni di notevole miglioramento. È ancora presto per parlare di un trattamento sperimentabile sull’uomo, ma è comunque un notevole passo avanti.

Fonte: ansa.it

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Sindrome di Down: test DNA fetale danno i risultati più sicuri

Sindrome di Down: test DNA fetale danno i risultati più sicuri

Secondo uno studio dell’Università della California di San Francisco, il migliore metodo di screening per rilevare la sindrome di Down prima della nascita sarebbe il test DNA fetale.

Oggi sono sempre più numerose le coppie di futuri genitori che scelgono di sottoporsi ai test di screening prenatale per sapere se esistono rischi che il nascituro possa sviluppare la sindrome di Down. Fra tutti questi nuovi strumenti, sembra che quello in grado di dare risultati più sicuri sarebbe quello che analizza il DNA fetale nel sangue materno. Questa la principale evidenza di una recente ricerca dell’Università della California di San Francisco, i cui dati sono stati divulgati sulla rivista scientifica “New England Journal of Medicine”.

Il test sul DNA fetale è semplicissimo e prevede il prelievo e l’analisi del sangue della mamma. Infatti il sangue della mamma contiene parte del Dna della placenta del nascituro. Attraverso strumenti specifici, i frammenti liberi di DNA placentare vengono separati da quello materno. Questi vengono poi analizzati per scoprire se vi sono alterazioni cromosomiche, tra cui appunto la sindrome di Down.

La ricerca degli studiosi americani ha utilizzato un campione di circa 16 mila donne in dolce attesa, che si sono sottoposte sia all’esame del DNA fetale sia al test combinato. L’obiettivo dello studio era comprendere quanti casi di sindrome di Down questi due test avessero rilevato. I ricercatori hanno constatato che il test DNA fetale ha riconosciuto correttamente tutti i 38 bambini affetti da sindrome di Down, con pochissimi casi di falsi positivi. Lo screening tradizionale, invece, ha identificato solo 30 casi di alterazione del cromosoma, con 854 falsi positivi. Inoltre, il test su DNA fetale ha meglio identificato anche altre anomalie cromosomiche: ha rilevato correttamente infatti 9 casi su 10 di feti affetti da trisomia 18 o sindrome di Edwards, mentre lo screening standard ne ha riconosciuti solo 8 (con ben 49 falsi positivi).

Fonte: “Bimbi Sani e Belli”

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Test genetici di screening prenatale sempre più accurati per diagnosticare la Sindrome di Down

Un recente studio pubblicato sul "New England Journal of Medicine", che ha analizzato le informazioni relative a circa 16mila donne in gravidanza, ha dimostrato che i test genetici che verificano se il nascituro è affetto da anomalie cromosomiche come la Sindrome di Down – a partire da un prelievo di sangue della mamma – hanno risultati sempre più attendibili.
I test genetici prenatali si basano sull'analisi di frammenti del DNA del feto che circolano nel sangue della madre. Recentemente, grazie alla rapida evoluzione delle tecnologie di sequenziamento del DNA, è diventato possibile esaminare questi frammenti a costi ragionevoli e in tempi piuttosto brevi per avere informazioni su possibili anomalie genetiche del bambino.
L'affidabilità di questi test sul DNA libero continua a essere sperimentata. Se nel passato alcune ricerche avevano già dati esiti positivi per un campione di future mamme che si era sottoposto al test perché la loro gravidanza era considerata ad alto rischio, un recente studio ha preso in esame donne dalle gravidanze più "normali". Esaminando e comparando i risultati dello screening effettuato con la traslucenza nucale con il test del DNA libero a cui si sono sottoposte quasi 16mila future mamme provenienti da diverse nazioni, gli studiosi hanno riscontrato che il test genetico si è dimostrato molto affidabile. Da una parte, i dati hanno rilevato una capacità di rilevare la sindrome di Down pari a quasi il 100%, dall'altra è stata riscontrata una percentuale assai più bassa rispetto alla traslucenza di falsi positivi (0,06% contro il 5,4%).

Fonte: “Panorama”

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Sindrome di Down: nuove tecniche di test prenatale per scoprire la sindrome di Down

La Sindrome di Down è una patologia caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più, il cromosoma numero 21, presente in tre copie anziché due, una caratteristica identificata nel 1959 dal medico francese Jérôme Lejeune.
Attualmente, per identificare anomalie genetiche si procede attraverso varie tecniche, la più comune è l’amniocentesi, considerata però anche la più invasiva in questo si rischia l’aborto. Negli anni, si è cercato di sviluppare delle tecniche alternative che la sostituiscano; alcune prevedono il dosaggio di particolari marker che sono la misura indiretta della presenza della sindrome nel bambino. In un articolo pubblicato dalla professoressa Diana Bianchi della Tufts University School of Medicine viene riportato che i test prenatali non invasivi rappresentano un’opportunità per il trattamento prenatale della sindrome di Down. Gli esiti di uno studio condotto dalla professoressa mostrano che nei feti affetti da trisomia 21 c’è un eccessivo stress ossidativo, ovvero una produzione incontrollata di molecole tossiche che già a partire dal secondo trimestre di gravidanza danneggiano le cellule. Studi epidemiologici confermano che la presenza della sindrome è strettamente legata e all’età materna (>35 anni).  

Ad oggi si sono creati diversi gruppi di ricerca basati sulle scoperte della professoressa Bianchi.

Fonte: Prenatal Diagnosis

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