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Aurora magazine

La MRI svela nuovi particolari sulla sindrome dell’X fragile

L’imaging a risonanza magnetica (MRI) ha svelato nuovi particolari sulla sindrome dell’X fragile. La materia bianca dei bambini che ne soffrono è meno sviluppata rispetto alla media. Il prossimo passo sarà studiare la materia bianca da diverse angolazioni, per concentrarsi sui circuiti cerebrali coinvolti nella comunicazione tra neuroni.

Lo studio dei ricercatori della UNC School of Medicine ha mostrato che le differenze cerebrali precedono di molto la diagnosi della malattia. Di solito la sindrome dell’X fragile è individuata intorno ai 3 anni, se non dopo. I danni al cervello sono però molto più precoci. Con le giuste analisi, quindi, sarebbe possibile diagnosticare la malattia molto prima. Eviterebbe inoltre le tante diagnosi sbagliate legate alla malattia.

Purtroppo in questo caso diagnosi precoce non è sinonimo di trattamento precoce. Per il momento non esistono trattamenti per la sindrome dell’X fragile. La scoperta potrebbe però facilitare la ricerca. Le differenze rilevate nella materia bianca, infatti, potrebbero diventare la base per nuovi studi.

Lo studio ha coinvolto 27 bambini con la sindrome dell’X fragile e 73 bambini sani. I ricercatori hanno raccolto immagini effettuate con la risonanza magnetica. In particolare, si sono concentrati su 19 fasci di assoni mielinici, ovvero i bracci più lunghi dei neuroni. Questi connettono le varie parti del cervello tra loro, permettendo una comunicazione rapida tra i neuroni. Un buon collegamento tra neuroni è essenziale per il corretto funzionamento del cervello, specie nell’età dello sviluppo.

I bambini affetti dalla sindrome hanno mostrato anomalie nello sviluppo dei fasci 12 e 19 a partire dai 6 mesi di vita. Questi neonati avevano fibre molto meno sviluppate in vari tratti del cervello, benché i sintomi non fossero ancora evidenti.

Le immagini a risonanza magnetica hanno confermato osservazioni precedenti fatte sui topi. In particolare, è emerso come l’espressione dell’X fragile impatti sullo sviluppo fin dall’inizio. Una rivelazione promettente, che potrebbe facilitare la scoperta di nuovi trattamenti precoci.

Fonte: med.unc.edu