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Miopatia nemalinica: cos’è e come si manifesta

La miopatia nemalinica è una malattia neuromuscolare rara, che si manifesta alla nascita, nell’infanzia o anche in età adulta. È caratterizzata da una diffusa debolezza muscolare, non è progressiva ed ha gradi variabili di gravità.

Le forme più gravi della malattia si manifestano in fase neonatale. I neonati faticano ad alimentarsi e presentano problemi respiratori e cardiaci. Di solito la malattia porta alla morte entro i primi mesi di vita. Le forme più comuni, invece, compaiono nell’infanzia, sono moderate non progressive.

I bambini che soffrono di miopatia nemalinica hanno i muscoli degli arti, del tronco e del volto privi di tono. Questo provoca debolezza muscolare, con difficoltà nel linguaggio e nella deglutizione. Talvolta le anomalie che colpiscono i muscoli facciali conferiscono un aspetto particolare al viso.

Esiste una forma più rara della malattia, che colpisce in età adulta. Interessa il 4% dei casi ed è progressiva, con una gravità variabile da individuo a individuo. Provoca debolezza respiratoria e negli arti, ma ha una forte variabilità clinica. Talvolta porta anche a sviluppare dolori articolari.

La miopatia nemalinica ha cause genetiche e può essere sia ereditaria che sporadica. Interessa diversi geni, tutti legati alla codifica di proteine del tessuto muscolare. A seconda del gene coinvolto, la malattia si trasmette con modalità autosomica dominante o recessiva. Nel primo caso un singolo genitore malato ha il 50% delle possibilità di trasmettere la malattia. Nel secondo i genitori sono portatori sani e hanno il 25% delle possibilità di avere un figlio malato.

La diagnosi della malattia avviene mediante osservazione clinica e biopsia muscolare. Nei soggetti con miopatia nemalinica, le fibre muscolari hanno strutture a forma di bastoncino formate da insiemi di proteine. Data la natura variabile della malattia, però, la diagnosi può essere molto difficile. In compenso la scoperta di alcuni geni coinvolti ha facilitato la diagnosi prenatale.

Per il momento la miopatia nemalinica non ha cura. Se individuata per tempo, si possono prevenire alcuni degli effetti e migliorare la qualità della vita del paziente. Sono inoltre in fase di sperimentazione delle terapie farmacologiche.

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Artrite reumatoide: cos’è e quali sono i sintomi

L’artrite reumatoide è una malattia cronica che colpisce le articolazioni. La membrana che le avvolge si infiamma e in questa maniera provoca la progressiva erosione della cartilagine. È una patologia molto dolorosa e molto debilitante, che limita la libertà di movimento di chi ne soffre.

L’artrite reumatoide colpisce in prevalenza donne tra i 35 e i 50 anni. È una malattia autoimmune, nella quale il sistema immunitario della persona attacca l’organismo stesso. Nello specifico, i globuli bianchi si scagliano contro i tessuti articolari e ne causano l’infiammazione.

L’infiammazione cronica colpisce soprattutto la sinovia, il tessuto che secerne il lubrificante per la cartilagine e le ossa. Questa si ispessisce e con il tempo mangia la cartilagine e interi pezzi di osso. Muscoli e legamenti che sostengono l’articolazione si indeboliscono e faticano a svolgere le proprie funzioni.

L’infiammazione si manifesta con rossore, gonfiore e dolore. Chi soffre di artrite reumatoide fa fatica perfino a muoversi e la situazione è destinata solo a peggiorare. Un intervento tempestivo, però, può arginare i danni all’osso e migliorare le condizioni del paziente.

Le cause della malattia sono ancora poco chiare. Si sa che ci sono dei fattori genetici: molti pazienti presentano anomalie collegate al funzionamento del sistema immunitario. Secondo gli studiosi avrebbero però un ruolo solo parziale nella manifestazione della malattia. La predisposizione genetica sarebbe quindi importante ma non determinante.

Data l’incertezza che avvolge la malattia, oggi si affrontano soprattutto i sintomi dell’artrite reumatoide. I trattamenti sono volti a: alleviare il dolore; ridurre l’infiammazione; arginare i danni. A questo scopo si agisce sia per via farmacologica, sia agendo sullo stile di vita.

Quando la malattia è nella fase acuta, il riposo consente alle articolazioni di riprendersi dalle infiammazioni. In compenso, nei momenti tranquilli un po’ di esercizio fisico aiuta a rinforzare i muscoli e a salvaguardare la mobilità articolare.

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Epidermodisplasia verruciforme: cos’è e quali sono i sintomi

L'epidermodisplasia verruciforme (EV) è una malattia ultra-rara ereditaria. La patologia provoca un’infezione cronica della pelle da parte del papilloma virus umano. Ciò porta alla formazione di lesioni cutanee polimorfe, come verruche, noduli e piccoli rilievi della pelle. Queste lesioni hanno un’alta probabilità di svilupparsi in un tumore cutaneo.

Il numero di malati di epidermodisplasia verruciforme è incerto. Ad oggi si conoscono poco più di 200 casi, ma la prevalenza esatta non è nota. Secondo la letteratura scientifica, la malattia si manifesta durante l’infanzia e molto più raramente in età neonatale. Il 61,5% dei casi noti si è manifestato durante i primi anni di vita, il 22% durante la pubertà e il 7,5% nei primi mesi di vita.

Il primo sintomo è la comparsa di papule verrucose, seguita da quella di placche irregolari. Le lesioni sono iperpigmentate o ipopigmentate, di colore marrone-rossastro e simili alla corteccia di un albero. Compaiono su tutte le zone della cute esposta al sole, quindi sul tronco, sul collo, sul viso e sul dorso di mani e piedi.

Le lesioni derivano da sottotipi del papilloma virus, che nel 30-60% dei casi si sviluppano in tumori della pelle. I tumori sono diversi dal più comune melanoma e formano carcinomi e cellule squamose, simili a veri e propri rami d’albero. Sono tumori spesso localizzati, che di rado formano metastasi.

Ad oggi non esiste una terapia risolutiva per l'epidermodisplasia verruciforme. Nei pochi casi rilevati si opera con la crioterapia e l’uso topico di immunomodulatori. È inoltre importante che i soggetti evitino il più possibile l’esposizione al sole, così da ridurre il rischio di derive tumorali. Nel caso di tumori molto sviluppati, i medici si eliminano in maniera chirurgica.

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Disturbi comportamentali: cosa sono e come si riconoscono

I disturbi comportamentali comprendono una serie di atteggiamenti che violano le norme del vivere sociale. I bambini che ne sono affetti tengono una condotta difficile da gestire, per genitori ed educatori. Dove finisce, però, la scarsa educazione e inizia il disturbo vero e proprio?

Secondo le statistiche, il 6-16% dei maschi sotto i 18 anni e il 2-9% delle femmine soffre di disturbi comportamentali. I sintomi vanno da lieve a molto grave e comportano un distacco sistematico del bambino dalle norme sociali. Per quanto li si sgridi e li si cerchi di educare, i bambini con questi disturbi mantengono un comportamento ripetitivo e persistente.

Il bambino o adolescente affetto da disturbi comportamentali ha manifestato almeno tre di questi comportamenti negli ultimi 12 mesi:

1.      Comportamenti aggressivi. Il bambino cerca lo scontro fisico ed è crudele con animali e persone.

2.      Atti vandalici. Il bambino non danneggia le persone, ma è aggressivo con gli oggetti. Danneggia le proprietà altrui e quelle pubbliche.

3.      Furti e truffe. Il bambino mente in maniera sistematica, non mantiene le promesse e si lascia andare a piccole truffe.

4.      Violazione di norme giuridiche e morali. Il bambino salta la scuola e crescendo abusa di alcol e droghe.

Almeno uno di questi dev’essere stato evidente negli ultimi 6 mesi, provocando disagi al soggetto e agli altri. La diagnosi risultato comunque difficile, in quanto il disturbo si presenta spesso insieme ad altri problemi. I disturbi comportamentali sono associati nel 73% dei casi a disturbi dell’apprendimento e a depressione. Ciò rende più difficile avere un quadro chiaro della situazione.

I disturbi comportamentali hanno spesso un’origine ambientale: scarsa educazione, situazione familiare difficile, scarsa socializzazione. In alcuni casi, però, sono causati da disfunzioni neuropsicologiche. Molti bambini con forme precoci di disturbi hanno genitori affetti a propria volta da disturbi psicopatologici. In questi casi, capita che almeno un genitore soffra di disturbi dell’umore e schizofrenia, il che fa pensare a una predisposizione genetica.

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