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Aurora magazine

Produrremo ovuli e spermatozoi in vitro?

Gli scienziati dell’Università della California, Los Angeles, stanno studiando come produrre ovuli e spermatozoi in vitro. Ne hanno parlato in un articolo pubblicato sulla rivista Cell Reports, spiegando parte del meccanismo. In futuro, il processo potrebbe aiutare chi non produce gameti e desidera un figlio.

I ricercatori hanno analizzato oltre 100.000 cellule staminali mentre si convertivano in gameti. In particolare, hanno misurato i geni che si sono attivati lungo tutto il processo. Uno speciale algoritmo li ha aiutati a processare l’enorme mole di informazioni, così da individuare un pattern comune a tutte le staminali. L’obiettivo è riprodurre l’intero processo in vitro e ottenere gameti fatti in laboratorio.

Gli esperimenti sono ancora in corso. Per il momento, gli scienziati sono partiti da cellule simili alle cellule germinali primordiali umane. Le hanno convertite in cellule staminali pluripotenti transizionali, così da farle differenziare in cellule germinali. Grazie ai pattern individuati dall’algoritmo, hanno massimizzato il numero di differenziazioni riuscite.

Nelle analisi preliminari, gli scienziati hanno usato sia cellule staminali embrionali sia cellule staminali pluripotenti indotte. L’algoritmo ha analizzato i pattern genetici attivi in entrambi i gruppi di cellule al momento dello sviluppo. Secondo i dati, le differenze sono minime, il che renderebbe ancora più facile produrre gameti in vitro. L’importante sarebbe usare le tecniche giuste, così da ridurre al minimo gli sprechi.

Se i test continueranno a dare esito positivo, tra qualche anno sarà possibile produrre gameti dalle cellule epiteliali. Prima che il procedimento venga applicato, però, serviranno test sulle possibili conseguenze sul piano genetico per il feto.

Fonte: newsroom.ucla.edu

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Conosciamo la mutazione causa della sindrome di Chédiak-Higashi

I ricercatori dell’Università del Missouri hanno individuato una mutazione specifica nel gene che causa la sindrome di Chédiak-Higashi. La malattia provoca l’indebolimento del sistema immunitario, rendendo l’organismo molto più vulnerabile alle infezioni. La professoressa Leslie Lyons e il dottor Reuben Buckley hanno trovato una possibile risposta nel DNA di un gatto.

I medici conoscevano già il gene responsabile della sindrome. Il problema era che trattamenti diversi interessano parti diverse del gene, modificando l’effetto finale. Senza conoscere l’esatta mutazione responsabile di una specifica malattia, è quindi impossibile sviluppare un trattamento davvero efficace. Per risolvere la cosa, il team di ricercatori ha usato le tecniche di sequenziamento genetico.

La professoressa Lyons ha lavorato con il defunto Smokey, un gatto di 16 anni affetto da sindrome di Chédiak-Higashi. Grazie alla fecondazione in vitro, la professoressa ha usato il seme del gatto per creare un modello della malattia. A partire da questo, lei e il suo team hanno analizzato le caratteristiche genetiche di questa e di altre malattie genetiche.

La scoperta del team avrà ripercussioni sulla medicina umana e anche su quella veterinaria. Conoscere il funzionamento del gene “colpevole” aiuta a comprendere meglio la sindrome negli esseri umani, seppure con tutti i dovuti distinguo. Grazie a ulteriori studi, sarà più facile sviluppare una terapia salvavita per chi soffre di questa malattia genetica. In più, la scoperta migliorerà i test genetici che si usano negli allevamenti di cani e gatti di razza.

Fonte: missouri.edu

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L’acne è una malattia genetica

Uno studio del dipartimento di Genetica e Medicina molecolare del King’s College di Londra fornisce nuovi dati sull’acne. Questo problema tanto diffuso tra gli adolescenti, spesso legato anche a disfunzioni ormonali, ha una base genetica. I ricercatori hanno infatti individuato i geni che ne influenzano l’andamento.

L’acne è un disturbo causato dall’infiammazione delle ghiandole sebacee, che provoca punti neri e piccole pustole. Nei casi più gravi, l’infiammazione tocca gli strati più profondi della cute, provocando cisti e noduli. Se non trattate a dovere, sia l’acne superficiale sia l’acne profonda possono provocare disagio psicologico e lasciare cicatrici permanenti.

Nelle donne, il disturbo può essere causato da disturbi ormonali come l’ovaio policistico. Ciononostante, ciò non spiega tutti i casi né i diversi andamenti della malattia. Per questo motivo, il team inglese ha coinvolto circa 27.000 volontari, di cui 5.600 affetti da forme gravi di acne. I ricercatori hanno analizzato il DNA di tutti i volontari, alla ricerca di varianti genetiche collegate allo sviluppo dell’acne.

Le analisi genetiche hanno mostrato anomalie comuni a quanti soffrivano di acne grave. Le varianti si concentrano nei geni che influenzano la forma del follicoli piliferi. A seconda di com’è fatto il follicolo, questo può infatti contenere più o meno batteri della famiglia Propionibacterium acnes. Più le colonie batteriche sono ricche, più l’acne è grave e difficile da debellare.

La scoperta aiuterà a sviluppare trattamenti migliori rispetto a quelli attuali. Le terapie disponibili oggi consistono quasi tutte in creme antibiotiche e in antibiotici orali.

Fonte: humanitasalute.it

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L’obesità materna provoca ritardo nello sviluppo cognitivo

Negli ultimi anni, un gran numero di studi ha provato come il peso corporeo della madre può influenzare la salute del figlio. L’obesità, nello specifico, provoca un gran numero di possibili danni a lungo termine. Secondo uno studio della Columbia University Mailman School of Public Health dell’Università del Texas, tra questi c’è anche un ritardo nello sviluppo cognitivo del bambino.

I ricercatori hanno seguito 368 madri e i loro bambini per circa 7 anni. Quando i bambini hanno compiuto 3 e 7 anni, li hanno sottoposti a test motori e cognitivi. In un secondo momento, hanno incrociato i dati con lo stato di salute delle madri e con il peso in gravidanza. Per evitare di inquinare i dati, hanno scelto solo donne che vivevano in condizioni socioeconomiche simili e in quartieri simili.

I bambini nati da donne molto sovrappeso o obese hanno totalizzato i punteggi peggiori. Nei test per il calcolo del quoziente intellettivo, hanno totalizzato circa 5 punti in meno rispetto ai bambini nati da madri normopeso. Quel che è peggio, il gap rimarrebbe anche dopo la prima infanzia. Questo vale però solo per i maschi: le bambine non hanno manifestato differenze sostanziali, a livello cognitivo.

Per il momento, è poco chiaro in che modo l’obesità in gravidanza influenzi le capacità cognitive del bambino. Può darsi che sia colpa della cattiva alimentazione, ricca di grassi e povera di nutrienti utili. Secondo altri studiosi, la ragione potrebbe stare nelle infiammazioni e nello stress metabolico che accompagna l’obesità. Per dare una risposta precisa serviranno altri studi.

Fonte: mailman.columbia.edu

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