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Aurora magazine

Ci sono più di 1000 geni dietro una laurea

Secondo uno studio della University of Southern California, il livello di scolarità è collegato a 1271 varianti genetiche. Il team del dottore Daniel Benjamin ha analizzato il DNA di più di un milione di persone. Ha così individuato i geni legati allo sviluppo neurocerebrale e alla comunicazione tra neuroni.

Il livello di istruzione dipende in larga parte da fattori psicologici e culturali. Pare però che anche la genetica abbia un suo ruolo. Uno studio del 2016 pubblicato su Nature aveva analizzato il genoma di 294.000 soggetti. Aveva così individuato 74 geni correlati al livello di scolarizzazione. Molti di questi si esprimono soprattutto nei tessuti neuronali e regolano lo sviluppo del sistema nervoso. Ciononostante non rispondeva a una domanda: dove finisce la genetica e inizia l’educazione?

Il primo dato emerso è che il livello di istruzione ha una componente di familiarità. I figli di laureati hanno più probabilità di laurearsi. Il merito può essere in parte delle capacità cognitive ereditarie, ma non si può trascurare l’effetto dell’educazione. Lo studio in questione ha esaminato quindi quanto la componente innata è forte e quali sono i geni coinvolti.

In un primo tempo il team ha esaminato il genoma di 1,1 milioni di persone e ha individuato 1271 geni. Tutti i geni lavorano nel processo di neurosviluppo e determinano il modo in cui i neuroni comunicano tra loro. In particolare, sono rilevanti per la produzione di neurotrasmettitori e sinapsi, che collegano i neuroni e trasmettono i segnali nervosi.

In un secondo momento, i ricercatori si sono concentrati sulla correlazione tra geni e capacità matematiche. Questo studio secondario ha svelato centinaia di possibili associazioni genetiche, che andranno però esaminate.

Fonte: lescienze.it

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Test genetico predice leucemia con 10 anni di anticipo

Un team di ricerca internazionale ha sviluppato un test genetico per la leucemia mieloide acuta. Il test individua i primi segni della malattia in individui sani, permettendo di diagnosticarla con anche 10 anni di anticipo. Ciò permette di procedere con terapie che blocchino le alterazioni pre-leucemiche sul nascere.

I ricercatori hanno individuato i soggetti affetti da mutazioni genetiche legate a questo grave tumore del sangue. Secondo quanto riportato, le anomalie sono individuabili nel sangue fino a 10 anni prima che si sviluppi la leucemia mieloide acuta. Una finestra temporale molto ampia, che dà ampio spazio alla prevenzione e potrebbe ridurre il tasso di mortalità. Si calcola infatti che il 90% di coloro che si ammalano dopo i 65 anni non ce la faccia.

Nel 2014 professor John Dick, uno degli autori dello studio, aveva scoperto staminali pre-leucemiche in un campione ematico. Nonostante queste staminali si comportino ancora normalmente, mostrano già le prime anomalie che porteranno alla malattia. A partire da questa prima osservazione, il professore ha cominciato a osservare il processo evolutivo delle cellule. Ha così scoperto che le prime tracce di leucemia sono individuabili molto prima che si presentino i sintomi.

Per avvalorare la tesi, Dick e colleghi hanno esaminato 550 mila persone. Ne hanno studiato lo stato di salute e lo stile di vita nel corso di 20 anni, individuando tutti i fattori legati al rischio di tumore. 124 partecipanti si sono ammalati di leucemia mieloide acuta 6-10 anni dopo l’inizio dello studio. I ricercatori li hanno messi a confronto con 676 persone della stessa età ma sane, così da individuare eventuali differenze genetiche.

Grazie a uno strumento di sequenziamento genetico, i ricercatori hanno individuato alterazioni genetiche tipiche della malattia. Hanno anche scoperto che le alterazioni erano presenti e individuabili molto prima che la leucemia si sviluppasse. Adesso sperano di usare questa scoperta per sviluppare test di screening disponibili per tutti, così da facilitare la prevenzione della leucemia mieloide acuta.

Fonte: quotidianosanita.it

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Autismo: individuata la mutazione che taglia i ponti del cervello

Un team dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e dell’Università di Pisa ha individuato nuove mutazioni legate all’autismo. In particolare, i ricercatori hanno scoperto delle varianti che alterano la struttura del cervello e ne pregiudicano le funzioni. Il merito è stato di una strategia innovativa, che aiuterà a comprendere quante forme di autismo esistono. In questo modo sarà più facile creare nuovi trattamenti ad hoc per le singole forme.

I ricercatori hanno realizzato i modelli 3D del cervello di 30 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico. I bambini erano tutti portatori della stessa mutazione genetica, la delezione 16p11.2. Le analisi hanno svelato che la loro corteccia prefrontale è isolata dal resto del cervello. L’impossibilità di comunicare tra corteccia e cervello provoca i sintomi specifici dell’autismo. I bambini sono poco interessati alle relazioni sociali e fanno fatica a comunicare.

In parallelo, i ricercatori hanno condotto uno studio simile su modelli animali portatori della stessa mutazione genetica. Le cavie hanno mostrato la stessa mancanza di comunicazione con la corteccia prefrontale. Inoltre, le analisi sui modelli animali hanno permesso di esaminare le connessioni neuronali con un altissimo livello di dettaglio. Ciò ha svelato quali sono le anomalie strutturali proprie della delezione 16p11.2. Queste potrebbero stare alla base dei difetti di connettività cerebrale legati all'autismo.

I risultati del presente studio hanno gettato luce su molti particolari legati all’autismo. Adesso gli scienziati stanno studiando altre mutazioni genetiche legate all’autismo, così da comprenderne le ripercussioni sulla struttura cerebrale.

Fonte: ansa.it

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Nuovo test genetico per predire la sindrome dell’X fragile

Uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Genetics espone una nuova tecnica per predire la sindrome dell’X fragile. Si tratta di un test genetico che individua la presenza di un specifico tipo di mutazione genetica. In questo modo predice il rischio che una donna abbia un figlio con la malattia.

La sindrome dell’X fragile è legata all’espansione dei nucleoidi CGG nel gene FMR1. Un paziente affetto dalla sindrome mostra più di 200 ripetizioni di CGG, contro le 30 medie. Talvolta la persona ha tra le 55 e le 200 ripetizioni e mostra disturbi di natura più blanda.

Le donne portatrici di questa “premutazione” hanno un alto rischio di avere un figlio che soffre di sindrome dell’X fragile. La presenza di ripetizioni dei nucleoidi AGG riduce il rischio, che però rimane presente. Una donna con 75 ripetizioni di CGG e due di AGG ha il 12% delle probabilità di trasmettere la malattie. Le probabilità salgono al 77% senza la doppietta di AGG. Tenendo conto di questi due parametri, è possibile valutare il rischio di trasmissione ereditaria della sindrome.

Individuare le ripetizioni di CGG è facile, ciò non vale però per le ripetizioni di AGG. I ricercatori hanno quindi sviluppato un nuovo test genetico che identifica gli AGG nelle donne con una premutazione di FMR1.

Lo studio ha coinvolto circa 51 donne, di cui 26 portatrici di un gene sano e di uno intermedio, 24 portatrici di una premutazione. Solo 1 donna mostrava entrambe le condizioni. Il 30% del secondo gruppo (13 donne) ha mostrato 60-80 ripetizioni di CGG. Di queste, 3 non avevano alcuna ripetizione di AGG ed erano quindi ad alto rischio. Altre 2 avevano più di 85 ripetizioni di CGG e 1 aveva 95 ripetizioni e nessuna di AGG. Quest’ultima aveva il 100% delle probabilità di trasmettere la sindrome.

Fonte: fragilexnewstoday.com

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