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Aurora magazine

Gli effetti del DNA sono contagiosi?

Un esperimento dell’Istituto Europeo di Bioinformatica di Hinxton rivela che la genetica potrebbe essere “contagiosa”. Secondo i ricercatori, infatti, il DNA influenza sia noi sia quanti ci vivono accanto. Gli effetti indiretti di questa influenza agirebbero sui livelli di ansia, sulle difese immunitarie e anche sul peso corporeo. La scoperta getta una nuova luce sullo studio di molte malattie complesse, con tratti spesso inspiegabili se si considera il solo assetto genetico del paziente.

È cosa nota che le persone si condizionino a vicenda, specie quando si parla di comportamenti ricorrenti e abitudini. L’osservazione sulle cavie ha però rivelato una base genetica per il fenomeno in questione. I ricercatori hanno infatti misurato i tratti fisici e comportamentali di diversi gruppi di topi, mettendoli in relazione ai tratti genetici dei compagni di gabbia. Dai dati è emerso che il DNA degli altri topi avrebbe influenzato fino al 29% delle variazioni osservate nelle cavie. Variazioni che avrebbero toccato anche fattori come i livelli delle difese immunitarie e la velocità di guarigione.

La scoperta potrebbe influenzare il modo stesso in cui si effettua una diagnosi. Se confermata, infatti, il contesto sociale nel quale il paziente vive acquisirà molta più importanza. Il medico potrebbe dover indagare non solo sul DNA del paziente stesso, ma anche su quello di quanti gli vivono intorno.

Fonte: ansa.it

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Sospetto legame tra artrite reumatoide e artrite idiopatica giovanile

Un team internazionale di ricercatori ha identificato un legame tra l’artrite reumatoide negli adulti e l’artrite idiopatica giovanile. Secondo i ricercatori, l’artrite idiopatica giovanile ha dei legami genetici con la malattia degli adulti. La scoperta potrebbe aiutare lo sviluppo di nuovi trattamenti per le due patologie, oltre che aiutare nella diagnosi.

L’artrite idiopatica giovanile è una patologia complessa e difficile da trattare. La definizione comprende infatti sette categorie di malattia, ciascuna con le proprie caratteristiche individuali. Alcune di queste hanno delle controparti nella malattia dell’adulto, con le quali condividono diverse caratteristiche cliniche. Altri studi avevano spiegato questi punti di contatto genetici tra le due patologie, ma i dati erano limitati. Le moderne tecniche di genotipizzazione, invece, hanno consentito un’analisi genetica molto più approfondita e quasi del tutto inedita.

I ricercatori hanno analizzato 5.043 casi di artrite idiopatica giovanile e 14.430 ricollegabili ad altre forme di artrite. Hanno individuato delle associazioni genetiche tra le varie forme di artrite idiopatica giovanile. Le hanno quindi confrontate con le artriti infiammatorie dell'adulto. Da queste operazioni è emerso che in entrambe le patologie è presente un’anomalia dell'antigene-DRB1 dei leucociti umani.

I risultati ottenuti influenzeranno le prossime ricerche riguardo la genesi delle malattie e i nuovi possibili trattamenti.

Fonte: pharmastar.it

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Sindrome premestruale? Colpa di un'anomalia genetica

Uno studio dei National Institutes of Health conferma ciò che molte donne già sapevano: la sindrome premestruale è un disturbo reale. Per lungo tempo i medici l'hanno considerata poco più che una malattia immaginaria, ma adesso se ne conoscono le cause. Il senso di irritabilità, la leggera depressione e l'ansia che colpiscono molte donne prima del ciclo hanno origine in un'anomalia genetica.

I ricercatori hanno analizzato i meccanismi molecolari che stanno alla base del “Disturbo disforico premestruale”, una versione rara della sindrome premestruale. Il disturbo colpisce dal 2% al 5% delle donne e la causa starebbe nel comportamento anomalo di un gruppo di geni. L'anomalia riguarda i geni che controllano estrogeni e progesterone, i principali ormoni sessuali femminili. In condizioni ottimali, questi permettono all'organismo di rispondere agli stress esterni durante il ciclo.

Lo studio ha osservato il DNA dei globuli bianchi di donne affette da una forma grave di sindrome premestruale. Sono emerse grosse differenze rispetto al DNA di chi, invece, non ha mai dato segno di disturbi del genere. La scoperta potrebbe portare allo sviluppo di trattamenti specifici, per aiutare le donne che soffrono della versione più inabilitante della sindrome.

Fonte: ansa.it

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Cosa sono le mutazioni dei geni BRCA

Molte donne hanno scoperto le mutazioni BRCA quando Angelina Jolie si è sottoposta a mastectomia e ovariectomia preventive. Una decisione secondo molti radicale, dovuta alla diagnosi di una particolare mutazione nel suo DNA che avrebbe aumentato in maniera importante il rischio di tumore. La mutazione è appunto quella dei geni BRCA.

La mutazione nei geni BRCA 1 e BRCA 2 provoca lo sviluppo di una versione mutata delle proteine corrispondenti. In condizioni normali, queste farebbero parte di una serie di proteine riparatrici. Il loro compito sarebbe cancellare eventuali danni dal DNA delle cellule, apportati da fattori esterni come il fumo o le radiazioni. Nel caso di mutazioni, le cellule di seno e ovaie accumulano errori nel loro DNA e si trasformano in cellule tumorali. La mutazione dei geni BRCA 1 e BRCA 2 è provocata il più delle volte da fattori ambientali, ma in alcuni casi è riconducibile all'ereditarietà.

Le anomalie nei geni BRCA 1 e BRCA 2 sono collegate sia al cancro al seno che a quello dell'ovaio. Chi presenta l'anomalia ha un rischio di sviluppare un tumore al seno che va dal 60% al 90%. Per quanto riguarda il tumore dell'ovaio il rischio oscilla tra il 15% e il 50%. Le probabilità dipendono dal tipo di anomalia e dalla storia familiare e, se particolarmente elevate, potrebbero portare a mastectomia e ovariectomia preventive. Queste scelte, seppure molto radicali, sono a volte l'unico modo per affrontare una condanna altrimenti quasi certa.

Il tumore al seno è quello più diffuso tra le donne ed è anche uno dei più facili da affrontare. A cinque anni dalla diagnosi, sopravvive l'89% delle pazienti. Il tumore dell'ovaio è invece molto meno diffuso ma anche molto più letale. I sintomi sono difficili da individuare e a cinque anni dalla diagnosi sopravvive solo il 46% delle pazienti. Ecco perché è bene che le donne con una storia familiare segnata da tumori del genere effettuino appositi test del DNA. Esistono inoltre tecniche di monitoraggio dei marcatori tumorali, così da verificare eventuali innalzamenti sospetti.

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