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Aurora magazine

Un quarto di aspirina al giorno combatte gli aborti spontanei

Un aborto spontaneo può avere tante cause. Una di queste può essere un generale stato infiammatorio, spesso impercettibile. Ecco perché uno studio dell’Eunice Kennedy Shriver National Institute sostiene che l'aspirina combatta molti aborti spontanei. Un quarto di aspirina al giorno aiuterebbe a concepire e portare a termine la gravidanza, almeno in caso di infiammazione.

Un generale stato infiammatorio è ricollegabile a diverse cause di disfunzione riproduttiva. Queste comprendono la malattia infiammatoria pelvica, la sindrome dell'ovaio policistico e l'endometriosi. Tutte condizioni che rendono più difficile concepire e più probabile incorrere in aborti spontanei. I ricercatori del Maryland hanno quindi studiato gli effetti dell'antinfiammatorio per eccellenza sul tasso di aborti.

Lo studio ha coinvolto 1228 donne tra i 18 e i 40 anni, tutte con almeno un aborto spontaneo alle spalle. I medici hanno misurato i loro livelli di proteina C nel sangue, la proteina indice di un'infiammazione in corso. A seconda dei risultati, le hanno divise tra soggetti con livelli di proteina C bassi, medi e alti.

I ricercatori hanno somministrato a metà delle donne 81 mg di aspirina al giorno, dal preconcepimento e per 6 cicli mestruali. In caso di concepimento, hanno proseguito con il trattamento per 36 settimane di gestazione. Le altre hanno fatto da gruppo di controllo e hanno ricevuto un placebo.

Tra le donne del gruppo di controllo con alti livelli di proteina C, solo il 44% hanno concepito e partorito. Tra quelle con gli stessi livelli che hanno ricevuto l'aspirina, invece, la percentuale è del 59%. Le donne con livelli di proteina C bassi e intermedi non hanno ricevuto alcun beneficio dall'assunzione o meno del farmaco.

Dallo studio emerge che il test della proteina C potrebbe fare la differenza per molte donne con problemi di concepimento. Potrebbe quindi diventare uno dei tanti test di screening prenatale di routine.

Fonte: quotidianosanita.it

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Smentita la correlazione tra farmaci anti-epilettici e anomalie fetali

Uno studio dall'Università di Arrhus smentisce la correlazione tra farmaci anti-epilettici in gravidanza e anomalie fetali. Secondo i ricercatori danesi, il livello medio di salute dei bambini esposti ai farmaci in utero è identico a quelli di tutti gli altri. Un'osservazione che va contro gli studi precedenti, secondo cui i farmaci contro l'epilessia provocherebbero malformazioni congenite nel feto.

Era convinzione comune che i farmaci anti-epilettici, se assunti durante la gravidanza, intaccassero lo sviluppo cerebrale nei feti. C'è ancora poca chiarezza riguardo le effettive condizioni di salute di quanti sono stati esposti nel ventre materno ai farmaci. Lo studio in questione, però, approfondisce alcune questioni e rassicura le donne che devono continuare ad assumere i farmaci anche se incinte. I ricercatori danesi non hanno infatti trovato alcuna correlazione tra i trattamenti contro l'epilessia e la salute dei bambini.

I ricercatori hanno analizzato i dati di 963.010 bambini nati tra il 1997 e il 2012. In 4.478 gravidanze le madri avevano continuato a prendere farmaci anti-epilettici anche in gravidanza. Gli studiosi hanno verificato quante visite pediatriche sono state richieste nel corso degli anni. Dalle analisi non è emersa alcuna sostanziale differenza tra i due gruppi, il che fa pensare che lo stato di salute dei bambini non sia stato toccato dal trattamento farmacologico materno.

Lo studio ha cercato eventuali differenze ricollegabili alla natura della patologia materna. Infatti, i trattamenti erano ricollegabili sia a casi di epilessia, sia di disturbo bipolare e di emicrania. Lo studio ha mostrato che non c'era nessuna differenza tra quante soffrivano di epilessia e quante presentava invece altri disturbi. Una scoperta che sarà di grande sollievo per molte future mamme. In ogni caso, in caso di dubbio è sempre buona norma chiedere consiglio al proprio medico e ricorrere agli appositi test di screening prenatale, come ad esempio il test DNA fetale.

Fonte: news-medical.net

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Il sesso del bambino influenza il sistema immunitario della madre

Sarà maschio o femmina? Secondo uno studio dell'Università di Stato dell'Ohio, la risposta influenzerebbe la salute della futura mamma. Evidenzia infatti come l'organismo femminile reagisca agli attacchi batterici in modo diverso a seconda del sesso del bambino.

I ricercatori hanno seguito 80 donne in gravidanza, misurandone i livelli delle cellule del sistema immunitario. Le analisi hanno mostrato livelli identici sia nei casi di feto femmina sia in quelli di feto maschio. Hanno quindi prelevato un campione delle cellule immunitarie e le hanno esposte a dei batteri. A seconda del sesso del bambino, hanno reagito all'attacco in maniera diversa.

Le cellule immunitarie delle donne incinte di una femmina hanno prodotto più citochine infiammatorie. Il fenomeno è legato a una reazione infiammatoria più violenta, se comparata a quella delle donne incinte di un maschio. Ciò potrebbe provocare un eccesso di stress per il corpo e aumentare il senso di stanchezza e di fatica. Potrebbe inoltre esacerbare le reazioni dell'organismo ad alcuni trattamenti farmacologici. La scoperta necessita però di ulteriori studi.

Quando una donna è in dolce attesa deve aver cura anche della salute del futuro nascituro. Per questo motivo un'alimentazione equilibrata e una costante attività fisica possono fare la differenza. I medici raccomandano di sottoporsi a regolari esami medici: esami di screening prenatale come il test del DNA fetale sono utili per monitorare la salute del bebè.

Fonte: eurekalert.org

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Meglio evitare la liquirizia in gravidanza

Uno studio finlandese dell’Università di Helsinki rivela che è meglio evitare la liquirizia in gravidanza. Secondo i ricercatori, il consumo frequente di liquirizia sarebbe infatti dannoso per il feto. Sono però ancora poco chiari i limiti massimi.

I test su modelli animali avevano già mostrato gli effetti negativi della liquirizia in gravidanza. La sostanza inibisce infatti l’enzima che inattiva il cortisolo, ovvero l’ormone responsabile dello stress. In condizioni normali il feto assorbe quantità minime del cortisolo della madre, ciò che serve a un corretto sviluppo fetale. La liquirizia riduce però l’effetto barriera della placenta e il feto assorbe quantitativi troppo alti dell’ormone. Inoltre la liquirizia alza i livelli della pressione arteriosa e accorcia i tempi della gravidanza. Tutto questo rende l’organismo materno ostile per il feto, rendendo più difficile lo sviluppo corretto di cervello e altri organi.

I ricercatori hanno preso in esame 378 ragazzi di 13 anni. Li hanno divisi in due gruppi: coloro le cui madri avevano fatto ampio consumo di liquirizia; coloro le cui madri non avevano consumato liquirizia. Le madri del primo gruppo avevano consumato minimo 250 grammi di liquirizia a settimana, mentre le madri del secondo gruppo ne avevano consumato massimo 120 grammi per settimana. Le femmine del primo gruppo sono risultate più alte e con un indice di massa corporea più alto rispetto alle coetanee. Molte di loro sono anche entrate prima nella pubertà. Sia i maschi che le femmine hanno dimostrato minori capacità logico-cognitive, di avere un quoziente intellettivo più basso, meno memoria e di essere più a rischio di ADHD. Più si alzava il quantitativo di liquirizia consumato in gravidanza dalle madri, più gravi si facevano i problemi dei figli. Ciò suggerisce che sia bene ridurre il più possibile il consumo della sostanza, onde evitare rischi per il feto.

Durante la gravidanza dunque, è importante che la mamma curi l'alimentazione, oltre a praticare una moderata attività fisica. in aggiunta è bene sottoporsi a controlli medici regolari: esami di screening prenatale consentono alla mamma di monitorare la salute del proprio piccolo.

Fonte: repubblica.it

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