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Un test genetico per la diagnosi della sindrome alcolico fetale

Un team di ricercatori canadesi ha elaborato un test genetico per identificare la sindrome alcolico fetale. Il test usa la metilazione del DNA e serve per facilitare la diagnosi in assenza di sintomi ovvi. In alcuni casi, infatti, il bambino non mostra alcun segno fisico del disordine pur soffrendone.

La sindrome alcolico fetale è legata al consumo di alcol in gravidanza. Provoca alterazioni fisiche, problemi comportamentali e deficit cognitivi. Molti individui che ne sono affetti mostrano malformazioni evidenti e problemi a livello di sistema nervoso centrale. In presenza di questi sintomi, la diagnosi è precoce e quasi ovvia. Ciononostante, è molto più difficile individuare il disordine in chi mostra sintomi comportamentali senza malformazioni fisiche.

Una diagnosi precoce della sindrome alcolico fetale è fondamentale per garantire un trattamento efficace. Purtroppo il consumo di alcol in gravidanza è spesso sottostimato. In caso di diagnosi dubbia, quindi, intervistare la madre è utile solo in parte. Per questo motivo, un team canadese ha usato l’analisi del DNA per facilitare la diagnosi del disturbo.

Gli studiosi hanno analizzato il DNA di 48 individui, 24 affetti dalla sindrome e 24 no. I pazienti avevano tra i 3 e i 18 anni. Si sono concentrati sui cambiamenti epigenetici, che interessano la metilazione del DNA. Hanno così individuato una serie di cambiamenti legati all’esposizione prenatale all’alcol e legati alla sindrome alcolico fetale.

I risultati dello studio consentiranno di usare biomarcatori epigenetici per diagnosticare la sindrome alcolico fetale. In questo modo sarà più semplice garantire un trattamento efficace e precoce a quanti ne soffrono.

Fonte: medicalnewsbulletin.com

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Quali informazioni desiderano le donne dallo screening prenatale?

I ricercatori del Murdoch Children's Research Institute (MCRI) hanno effettuato uno studio sul rapporto tra future mamme e test di screening prenatale. Nello specifico, hanno esaminato quante informazioni desidererebbero ricevere queste donne e di che tipo. Un’opzione che ad oggi non è disponibile.

Il metodo più usato per lo screening prenatale non invasivo è l’analisi del DNA fetale. I medici usano un campione di sangue materno per isolare brandelli di DNA del feto. In questo modo possono rilevare eventuali variazioni presenti al suo interno legate a una malattia. Il metodo è utile soprattutto per condizioni legate a una causa genetica sicura, come le trisomie. Per altre condizioni, invece, le cause genetiche e quindi la diagnosi sono ancora incerte.

Lo studio ha preso in analisi 111 donne in gravidanza, per scoprire se erano a conoscenza di tutte le informazioni riguardanti lo screening prenatale. Di queste informazioni fanno parte gli esiti del test, affidabili al 99,9%, e tutte le anomalie genetiche di cui non si conosce ancora il significato.

Le partecipanti hanno parlato con un consulente, che ha dato loro tutte le informazioni in merito ai test genetici. Il consulente ha, quindi, proposto loro due opzioni: ricevere solo le informazioni attendibili e rilevanti per la salute del bambino; ricevere tutte le informazioni. Nessuno dei bambini mostrava anomalie visibili con gli ultrasuoni.

Circa il 60% delle donne ha deciso di ricevere tutte le informazioni del test genetico. La decisione non pare aver provocato nessun effetto avverso dal punto di vista psicologico. Ha comunque evidenziato l’importanza di rivolgersi a un genetista, che possa spiegare con precisione l’esito di tutti i risultati.

Fonte: medicalxpress.com

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La diffusione dei test di screening prenatale non invasivi in Giappone

I test di screening prenatale non invasivi si stanno diffondendo sempre di più in Giappone. A breve, aumenteranno le istituzioni mediche autorizzate ad eseguire test del DNA fetale. La decisione arriva dopo un aumento esponenziale delle richieste nel paese, in relazione anche all’alzarsi dell’età media della prima gravidanza.

I test di screening prenatale non invasivi sono stati introdotti in Giappone nel 2013, ma sono stati fin da subito oggetto di dibattito. Le linee guida della Japan Society of Obstetrics and Gynecology hanno ristretto l’utilizzo di questi test a poche strutture. Inoltre, i test possono essere effettuati solo su donne dai 35 anni in su o con una storia di anomalie cromosomiche. L’aumento della domanda ha però spinto molte strutture non autorizzate ad offrire comunque il test.

La situazione ha reso necessario porre un freno ai test non autorizzati, in favore dei test del DNA fetale certificati. Per questo motivo, la Japan Society of Obstetrics and Gynecology ha deciso di espandere l’autorizzazione a nuove istituzioni mediche. L’obiettivo è incorporare i test di screening prenatale non invasivi nei controlli medici di routine.

Dall’introduzione nel 2013 dei test del DNA fetale, l’aumento delle strutture che offrono questo tipo di servizio è stato limitato. Si è partiti con 15 strutture certificate in tutto il Giappone e si è arrivato a 89 nel 2017. Forse troppo poco per le richieste di una nazione intera.

Fonte: japantimes.co.jp

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Sempre più donne scelgono lo screening prenatale non invasivo

La maggior parte delle donne ad alto o medio rischio scelgono lo screening prentale non invasivo come test secondario per la trisomia 21. Lo rivela uno studio pubblicato online su An International Journal of Obstetrics and Gynaecology. Secondo gli autori, il test del DNA fetale sarebbe usato da gran parte delle donne cinesi per verificare i dati del primo test.

Il dottor Yvonne Kwun Yue Cheng dell’Università di Hong Kong ha seguito un gruppo di donne che si erano sottoposte ai test prenatali. Le donne coinvolte erano state considerate ad alto o medio rischio. Tutte avevano effettuato un test genetico per le trisomie 13, 18 e 21 e per tutte i risultati erano stati positivi.

La procedura standard prevede che un eventuale esito positivo del test genetico sia seguito da un test di conferma. Oltre l’amniocentesi, le opzioni comprendevano anche un test del DNA fetale, preciso e del tutto non invasivo. Le donne erano libere anche di rifiutare ulteriori test.

Delle 347 donne ad alto rischio, il 99% ha scelto di eseguire un ulteriore test di screening prenatale. Di queste 216 (62,2%) hanno scelto il test del DNA fetale. Tra le 614 partecipanti a medio rischio, invece, ben 507 (82,6%) hanno scelto il test del DNA fetale. Tra le 34 donne che avevano eseguito la translucenza nucale, il 21% ha scelto lo screening prenatale non invasivo come secondo test.

In un contesto in cui i tempi di risposta e i costi erano simili, gran parte delle donne ha scelto il test di screening prenatale non invasivo. Ciononostante, secondo i medici la combinazione migliore rimane un test del DNA fetale seguito da una eventuale amniocentesi.

Fonte: medicalxpress.com

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