Recensioni verificate Soddisfatta del servizio.
Personale disponibile e gentile. Lo consiglio a tutti ...
Cliente Sorgente Genetica
logomysorgente

02  4948  5291

Aurora magazine

Il DNA più antico d’Europa è in Sardegna

Il DNA più antico d’Europa sta in Sardegna e in particolare nelle aree dell’Ogliastra e della Barbagia. Lo rivela una ricerca pubblicata su Nature Genomics, condotta su 3.514 sardi. Alla guida del team c’era il dottor Francesco Cucca, direttore del Cnr-Irgb e professore di genetica medica a Sassari.

Gli abitanti di queste zone conservano alte percentuali del patrimonio genetico di una particolare popolazione neolitica. I loro avi erano contadini mediorientali, appartenenti a comunità pre-neolitiche di cacciatori-raccoglitori. Vivevano in Europa già 7-10 mila anni fa, ancora prima delle popolazioni euro-asiatiche che si sarebbero diffuse nell’età del bronzo. Ciò rende i sardi una popolazione molto più simile ai baschi che al resto degli italiani, almeno dal punto di vista genetico.

Il patrimonio genetico dei sardi è un mix del DNA dei primi contadini neolitici e dei cacciatori-raccoglitori pre-neolitici. Questo secondo tipo di DNA è quello più interessante. Rispetto alle altre popolazioni europee, i sardi presentano una percentuale maggiore di patrimonio genetico pre-neolitico. A causa dell’isolamento dell’isola, infatti, le popolazioni provenienti dalle steppe euro-asiatiche hanno contribuito relativamente poco al pool genetico dei sardi.

Nel resto d’Europa, il patrimonio genetico neolitico e pre-neolitico si è diluito con le generazioni. In Sardegna, il fenomeno è stato più limitato. Per questo motivo, gli scienziati credono che la Sardegna potrebbe essere una riserva di varianti genetiche perdute. Alcune di queste potrebbero appartenere addirittura alla linea basale proto-europea, quasi del tutto scomparse nell’Europa continentale. Al di là dell’interesse puramente scientifico, queste varianti potrebbero aiutarci a comprendere e combattere alcune malattia genetiche.

Fonte: ansa.it

Add a comment

Test genetico predice le ricorrenze delle sindromi mielodisplastiche

Potrebbe bastare un test genetico per capire se una sindrome mielodisplastica è destinata a ricomparire. Una ricerca della Washington University School of Medicine a St. Louis ha studiato la metodologia. Secondo gli studiosi, con il test si potrebbero identificare i pazienti ad alto rischio di recidiva dopo il trapianto di cellule staminali. In questo modo sarebbe più facile intervenire subito con trattamenti specifici.

I metodi tradizionali per monitorare la gravità di un tumore sono molto soggettivi. Per questo motivo, il professor Matthew J. Walter ha deciso di usare un’analisi genetica. L’obiettivo è trovare le cellule anomale in maniera più precisa e più veloce, anche poco dopo il trapianto. In queste primissime fasi, infatti, è facile che le poche cellule tumorali si nascondano. È quindi più difficile predire un’eventuale recidiva.

Le sindromi mielodisplastiche sono difficili da diagnosticare. Alcuni individui convivono per tutta la vita con esse, senza mai ricevere una diagnosi. In un terzo dei casi, le sindromi sono più aggressive e si sviluppano in leucemie e altri tumori del sangue. Molti di questi si rivelano fatali, soprattutto a causa della velocità e della violenza con cui il tumore si sviluppa. L’unico trattamento efficace al momento è il trapianto di cellule staminali, che non sempre funziona.

Per lo studio i ricercatori hanno sequenziato il DNA delle cellule staminali di 86 pazienti con sindromi mielodisplastiche. Le analisi sono avvenute prime del trapianto, così da identificare le “impronte digitali” del tumore. Passato un mese dal trapianto, i ricercatori hanno sequenziato di nuovo le cellule dei pazienti alla ricerca di tracce del tumore. I pazienti che presentavano queste tracce (il 53%), correvano circa 4 volte il rischio di avere una recidiva.

Di questi pazienti, 35 hanno avuto una recidiva in media 141 giorni dopo il trapianti. Gli altri 51 non hanno avuto problemi, quanto meno nell’anno di follow-up.

Fonte: eurekalert.org

Add a comment

Individuata nuova causa per le malattie mitocondriali

Un test genetico rapido aiuterà a identificare una nuova causa di malattie mitocondriali. La scoperta arriva da un team di medici e scienziati del Wellcome Centre for Mitochondrial Research della Newcastle University. I ricercatori hanno individuato la mutazione genetica in quattro bambini, tutti con problemi nel complesso di proteine NDUFA6.

Le malattie mitocondriali sono condizioni genetiche che interessano i mitocondri, le “batterie” delle cellule. Tra i sintomi ci sono debolezza muscolare, cecità, sordità, diabete, problemi cardiaci. Purtroppo non esiste una terapia risolutiva e molti pazienti muoiono nella prima infanzia.

I ricercatori hanno usato un test genetico per individuare una variante genetica che interessa la proteina NDUFA6. Questa è essenziale per il corretto funzionamento dei mitocondri. Comprendere in che modo le varianti agiscono su di essa è essenziale per diagnosticare e combattere la malattia. Qualora ci fossero già stati casi in famiglia, potrebbe essere la base per test genetici preimpianto e test di diagnosi prenatale.

Per il momento non ci sono cure per gli effetti di questa variante genetica. In compenso, il professor Rob Taylor parla già del test genetico con finalità diagnostiche. La scoperta renderà i test attuali più precisi, migliorando la comprensione della malattia e dando quanto meno una risposta a diverse famiglie. Inoltre, aiuterà a evitare il ripresentarsi della malattia nelle famiglie che hanno già subito un lutto.

Il tema della diagnosti prenatale e preimpianto è molto caro alle famiglie con un bambino malato. Questi genitori hanno infatti il 25% di probabilità di trasmettere la stessa malattia anche al prossimo figlio. Una consapevolezza devastante che un test genetico potrebbe combattere.

Fonte: medicalxpress.com

Add a comment

Perché alcune mutazioni genetiche fanno ammalare solo certe persone?

I ricercatori del New York Genome Center (NYGC) e della Columbia University hanno scoperto perché alcune persone con una mutazione genetica si ammalano e altre no. Dietro al fenomeno ci sarebbe un meccanismo molecolare, che influenza la comparsa e la gravità dei sintomi.

La penetranza variabile di certe malattie è da anni un rebus. Anche nel caso di malattie con una forte base genetica, capita che individui con le stesse anomalie abbiano sintomi diversi. Il motivo è sempre stato poco chiaro. Perché? Secondo i ricercatori, le varianti genetiche che regolano l’attivazione dei geni influenzerebbero anche il modo in cui si manifestano.

Molti studi precedenti si erano concentrati solo sulle varianti a livello di codifica o solo su quelle nella regolazione dei geni. Il team del Dr. Lappalainen ha invece preso in esame entrambi i tipi di varianti, trattandoli come un unico gruppo. A questo scopo, i ricercatori hanno analizzato i dati ricavati dal progetto Genotype-Tissue Expression (GTEx).

In un primo tempo, hanno valutato le interazioni tra varianti regolatrici e di codifica in persone sane. Hanno scoperto un tipo particolare di combinazioni che proteggono contro la penetranza delle varianti dannose. È probabile che sia un sistema di difesa sviluppatosi per selezione naturale, per combattere le malattie genetiche.

In un secondo momento, i ricercatori hanno ripetuto le analisi su un gruppo di pazienti affetti da malattie genetiche. In particolare, hanno esaminato il DNA di individui affetti da autismo e tumori e delle loro famiglia. Hanno individuato la presenza delle combinazioni di cui sopra e, grazie a questi dati, hanno predetto la penetranza delle malattie.

I successivi test con CRISPR/Cas9 hanno confermato il meccanismo individuato con le analisi precedenti. Quanto scoperto potrebbe migliorare la diagnosi di moltissime malattie genetiche. Grazie a questa combinazione di varianti, potrebbe essere possibile predire se una certa anomalia degenererà o rimarrà silente.

Fonte: eurekalert.org

Add a comment