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Aurora magazine

Screening neonatale per 40 malattie rare

È passato il DDL che estende gli screening neonatali a 40. Lo scopo è facilitare l’individuazione di malattie metaboliche rare, specie nel caso in cui le patologie siano già in famiglia.

Una diagnosi precoce è infatti la chiave per offrire trattamenti tempestivi, migliori e più efficaci. Nel caso di patologie particolarmente gravi può essere determinante per intervenire tempestivamente con trattamenti mirati per migliorare la vita del bambino.

Le vecchie disposizioni prevedevano il test rapido del sangue per tre patologie ereditarie, ovvero ipotiroidismo congenito, fenilchetonuria e fibrosi cistica. Con il nuovo DDL il numero sale a 40 e comprende un gran numero di malattie metaboliche ereditarie prima trascurate. Per quanto riguarda la natura delle malattie comprese nel provvedimento, il Ministero della Salute e l’Agenas si occuperanno a breve di approvare la lista ufficiale. Lo scopo è però ampliare ulteriormente il numero di patologie da sottoporre allo screening.

Prima che il DDL entri in vigore bisognerà attendere 6 mesi, ovvero quelli concessi alle regioni per adeguarsi alla normativa. La notizia segna però già un miglioramento nell’approccio a patologie e malattie rare, volto alla prevenzione e all’investimento sulla salute dei nuovi nati.

Fonte: repubblica.it

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Dismelia: troppa poca assistenza per i genitori

Un gruppo di ricerca inglese e svedese ha intervistato più di 400 genitori di bambini affetti da dismelia. I ricercatori hanno domandato agli intervistati se fossero soddisfatti dell’assistenza ricevuta dopo la prima diagnosi.

Solo il 27% delle persone ha risposto in maniera positiva. Il 91% ha dichiarato che avrebbe desiderato più informazioni, mentre il 67% avrebbe desiderato un gruppo di sostegno. I risultati completi sono disponibili sulla rivista Women and Birth.

Dismelia è il termine che indica una serie di anomalie agli arti congenite. Spesso hanno una causa genetica, ma a volte derivano da problemi nello sviluppo. I casi al mondo sono pochi e i dati certi sul fenomeno sono ancora di meno. Di solito i medici rilevano i disturbi già tramite test prenatali e sarebbe opportuno fornire ai genitori assistenza, sia psicologica che pratica. Secondo l’indagine, ciò accade di rado.

Il sondaggio si è diviso in due parti ed è stato effettuato online. La prima parte dell’indagine ha coinvolto 417 partecipanti, la seconda ne ha coinvolti 130. Alla seconda parte ha partecipato un sottogruppo dei partecipanti alla prima indagine soddisfatti, che ha indicato le preferenze per i servizi post-diagnosi. Ciò che emerge dal sondaggio è comunque la necessità di migliorare i servizi di assistenza alla famiglia. L’orientamento è purtroppo spesso scarso e i genitori ricevono troppa poca assistenza.

Fonte: osservatoriomalattierare.it

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Nuove scoperte sulla sindrome di Lowe all’Istituto Telethon

I ricercatori dell’Istituto Telethon di Pozzuoli hanno determinato le dinamiche delle anomalie genetiche alla base della sindrome di Lowe. Il progetto di ricerca deve la propria sopravvivenza ai soldi raccolti da Telethon e potrebbe essere il primo passo per nuovi trattamenti.

Alla base della sindrome di Lowe c’è la mutazione del gene OCRL1. Questa provoca il cattivo funzionamento di occhi, sistema nervoso centrale e reni, sintomi che si manifestano di solito già alla nascita. Chi ne è affetto soffre di ritardo mentale, problemi nello sviluppo motorio, problemi renali. Questi ultimi provocano spesso la morte per insufficienza renale, di solito entro i 30 anni. Pur essendo già noto il gene causa della malattia, era poco chiaro come questo determini la sintomatologia della malattia. La ricerca dell’Istituto Telethon pare aver fatto chiarezza sulla cosa.

Il gene OCRL1 è responsabile della codifica di un enzima fondamentale per i lisosomi, gli organelli responsabili dello smaltimento dei rifiuti. Se l’enzima manca, l’organismo non riesce a decomporre un grasso chiamato PIP2. I livelli di PIP2 aumentano, ostacolano il corretto funzionamento dei lisosomi e provocano l’accumulo di scarti nell’organismo. Ciò porta a sviluppare difficoltà a livello renale e nel corretto funzionamento degli altri organi.

OCRL1 si trova nel cromosoma X, quindi di solito le femmine sono solo portatrici sane e la malattia si manifesta nei maschi. La diagnosi preliminare avviene mediante osservazione clinica ed esame del sangue, dopo i quali si passa al test genetico. Nel caso in cui ci siano stati casi in famiglia, è possibile anche effettuare l’analisi come esame di diagnosi prenatale.

Fonte: sanita24.ilsole24ore.com

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Sindrome di Rett: creato nuovo strumento di comunicazione

L’associazione AIRETT ha promosso la progettazione di un nuovo strumento di comunicazione per le bambine affette dalla sindrome di Rett.

Il dispositivo si chiama TOBII I-Series e sarà testato su 30 bambine incapaci di muoversi e di parlare. Potrebbe essere un grosso passo in avanti per aumentare le capacità di comunicazione e apprendimento di queste bambine.

La sindrome di Rett è una malattia neurologia congenita, che colpisce in larga parte le bambine. Riguarda 1 persona su 10.000 e si manifesta entro il quarto anno di vita, in prevalenza intorno ai due anni. La malattia colpisce il sistema nervoso centrale e provoca una progressiva perdita delle capacità motorie, accompagnata da ritardo cognitivo. Le bambine sono incapaci di muoversi dalla testa ai piedi. L’unica eccezione sono gli occhi, motivo per cui vengono chiamate le bimbe dagli occhi belli. Questi rimangono di fatto l’ultimo strumento che hanno per comunicare con il mondo.

Il TOBII I-Series sfrutta i movimenti oculari per permettere alle bambine di parlare. Il dispositivo si basa su un principio già noto, ma lo rielabora e lo rende leggero e alla portata di tutti. Per usarlo non servono né fasce né caschi. Il dispositivo assomiglia a un tablet ed è dotato di raggi infrarossi alla base dello schermo. Questi leggono il movimento oculare, così da comprendere dove punta lo sguardo. Le bambine possono indicare con lo sguardo lettere o simboli, comunicando ciò che hanno da dire. Essendo un oggetto di massimo 15 pollici, può essere portato in giro senza problemi ed essere installato senza problemi sulla sedia a rotelle.

Il dispositivo sarà testato su 30 bambine, selezionate da un gruppo di professionisti provenienti da tutta Italia. Le bambine scelte dovranno rispettare determinati requisiti legati alla formazione, alla disponibilità e alle capacità di coordinazione oculo-manuale. A supportare il tutto c’è AIRETT, l’associazione italiana che raccoglie i genitori delle bimbe dagli occhi belli, e la Fondazione Vodafone Italia.

Fonte: repubblica.it

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