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Aurora magazine

Nuova possibile terapia genica per l’emofilia di tipo B

È in corso la prima fase di un trial clinico per una nuova terapia genica contro l’emofilia di tipo B. I ricercatori hanno inoltre reclutato 5 nuovi pazienti, cui verrà data una nuova versione della terapia. Per il momento i ricercatori hanno usato SPK-9001 su un solo paziente, che si trova intorno alla 35a settimana di follow-up. Secondo i primi dati, però, i risultati ottenuti dal nuovo processo sono comparabili a quelli ottenuti con il vecchio.

La terapia genica SPK-9001 dovrebbe aiutare chi è affetto da emofilia di tipo B a produrre il fattore IX. Per il momento, né i primi 10 partecipanti né quello che si è aggiunto in un secondo momento hanno mostrato particolari effetti collaterali. Hanno inoltre tutti interrotto le infusioni di fattore IX concentrato, il che fa ben sperare anche per l’efficacia.

Tutti i pazienti hanno mostrato un aumento del livello di fattore IX, rendendo superflue le infusioni dello stesso. I dati sui 7 pazienti che hanno concluso il follow-up di un anno mostrano una efficacia duratura della terapia. Nessuno di loro ha più mostrato casi di sanguinamento, anche senza l’uso della profilassi preventiva. Tutti hanno riportato un miglioramento della qualità di vita, il che fa ben sperare per il futuro.

La nuova versione di SPK-9001 sarà usata nella fase 3 del trial clinico. Se andrà bene anche questa fase, la terapia genica sarà pronta per l’approvazione e la successiva commercializzazione.

Fonte: hemophilianewstoday.com

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Il virus Zika parte dalle cellule immunitarie

Il virus Zika usa la strategia del cavallo di Troia: prima attacca le cellule immunitarie, poi le usa per diffondersi nel cervello fetale. La scoperta arriva dai ricercatori dell’Università della California, a San Diego, e dai loro colleghi brasiliani.

Durante lo sviluppo dell’embrione, nel sacco vitellino si sviluppato le cellule della microglia, che danno poi origine ai macrofagi. Il loro compito è tenere pulito l’organismo, eliminando agenti dannosi e cellule danneggiate. Il virus Zika dà inizio all’infezione proprio a partire dalle cellule della microglia. Quando queste si diffondono nel sistema nervoso centrale, portano con sé anche il virus e ne facilitano la diffusione.

Come è ormai noto, il virus Zika è innocuo per gli adulti e devastante per i feti. Attacca il cervello in via di sviluppo, uccidendo le cellule staminali neurali e provocando microcefalia. Era però poco chiaro in che modo il virus si trasmettesse e si diffondesse nel cervello fetale. Pare che la risposta sia nel neonato sistema immunitario, usato come cavallo di troia da Zika.

Per testare la loro ipotesi, i ricercatori hanno usato cellule staminali pluripotenti indotte. Hanno creato cellule della microglia e cellule progenitrici neurali, entrambe essenziali dello sviluppo fetale. Hanno quindi imitato il modo in cui i due tipi di cellule interagiscono e le hanno esposte al virus. Le cellule della microglia hanno subito inghiottito il virus Zika per eliminarlo. Il virus è però rimasto attivo e ha usato le cellule della microglia per raggiungere le cellule progenitrici.

Il team ha testato un farmaco chiamato Sofosbuvir, usato contro l’epatite C. Il farmaco limita l’infezione virale e diminuisce il numero di cellule staminali morte. Saranno necessari ulteriori test, ma i primi risultati sono incoraggianti.

Fonte: medicalxpress.com

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Scoperte due nuove estensioni per la CRISPR

Due team del Broad Institute e dell’Università di Harvard hanno sviluppato delle nuove estensioni per la CRISPR. Le due tecniche consentono di riscrivere singole lettere o basi azotate di DNA e RNA.

La tecnica di editing genetico CRISPR taglia una sezione della doppia elica del DNA, sostituita con una versione sana. È un approccio efficace, ma un po’ violento sul DNA. Le estensioni, invece, consentono di agire in maniera più mirata. Invece di tagliare la doppia elica, usano degli enzimi per cambiare l’ordine delle basi che compongono DNA e RNA. In questo modo si ottiene una nuova base senza agire su quelle circostanti.

Le scoperte sono rilevanti in particolare per le malattie genetiche con mutazioni puntiformi. Sono malattie provocate da cambiamenti di singoli nucleotidi, in cui una singola base è messa nel punto sbagliato.

La tecnica sviluppata da David Liu agisce sulla disposizione degli atomi di adenina e li trasforma di guanina. In questo modo, la coppia di basi A-T diventa una coppia C-G. Il procedimento si è dimostrato efficace nel 50% dei casi e non ha portato a mutazioni collaterali.

La seconda tecnica, scoperta dal team di Feng Zhang, agisce sull’RNA. I ricercatori hanno trasformato l’adenina in iosina. Le componenti che producono le proteine cellulari leggono la iosina come guanina. Il metodo consente di effettuare un cambiamento solo temporaneo, dato che agisce sull’RNA e non sul DNA. Ciò significa che si può ripetere il procedimento più volte, anche apportando delle migliorie.

Fonte: focus.it

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Il vino rosso aiuta la fertilità femminile?

I ricercatori dell’Università di Washington hanno scoperto che un bicchiere di vino rosso a settimana aiuta la fertilità femminile. È probabile che il merito sia degli antiossidanti che abbondano nel vino rosso.

Il resveratrolo è una molecola chiave nei grappoli di uva rossa, nel cacao e nei mirtilli. Protegge le cellule dallo stress biologico e le aiuta a vivere di più e meglio. È presente in molti cibi, ma il vino rosso né particolarmente ricco.

Gli scienziati hanno intervistato 135 donne tra i 18 e i 44 anni riguardo il consumo di alcolici. Ciascuna di loro doveva segnare quanti alcolici consumavano ogni mese e di che tipo. I ricercatori hanno anche esaminato lo stato di salute delle ovaie delle donne e il numero di ovociti rimanenti.

Al di là di fattori quali l’età e lo stato di salute, le donne che consumavano regolarmente vino rosso avevano più ovociti. I benefici sarebbero stati marcati in particolare nelle donne che consumavano 1-5 bicchieri di vino al mese. Si parla quindi di un consumo regolare ma moderato, non quotidiano.

I risultati vanno presi con prudenza. È evidente un collegamento, ma non si sa se il merito sia tutto del vino rosso o se ci siano altri fattori in gioco. Bisognerà considerare un campione più ampio di donne, prendendo in esame anche altri elementi. È inoltre importante ricordare che anche un’esposizione minima all’alcol può essere dannosa per un embrione nelle prime fasi di sviluppo.

Fonte: independent.co.uk

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