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Aurora magazine

Continua la lotta alle malattie reumatiche

La ricerca Anmar we care, la qualità di cura dal punto di vista del paziente e del suo reumatologo svela informazioni su chi soffre di malattie reumatiche. 364 questionari compilati da pazienti reumatici e 182 da medici, per scattare una foto sulle condizioni di chi convive con queste malattie.

Il 74% degli interessati ha definito la qualità della propria vita scarsa, mentre il 46% ha problemi con l’assunzione delle terapie. Inoltre, più dell’80% degli intervistati ha denunciato problemi di ansia e depressione provocati dal dolore cronico. Eppure una speranza c’è: migliore è il rapporto con il personale medico, più alta è la qualità della vita del paziente.

Secondo lo studio, i pazienti che hanno un buon rapporto con il medico seguono meglio le terapie. E chi segue meglio le terapie ha più possibilità di vivere una vita quasi normale. In caso di diagnosi precoce, infatti, molti malati possono sperare nella cosiddetta remissione clinica. Questa prevede l’attenuazione dei sintomi, se non la loro completa scomparsa. Se protratta nel tempo, è addirittura assimilabile a una guarigione. Un obiettivo del genere è però possibile solo con: diagnosi precoce; terapie adeguate; sintonia tra reumatologo e paziente nella strategia di cura.

La lotta alle malattie reumatiche passa anche per la prevenzione. Numerosi studi hanno provato come uno stile di vita sano aiuti a combattere l’insorgenza di artrite reumatoide e di altre patologie autoimmuni sistemiche. In particolare, è importante che le persone predisposte geneticamente prediligano una dieta povera di proteine e grassi. Sono invece promosse vitamine, fibre e una moderata attività fisica.

Fonte: corriere.it

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L’avanzata degli screening genetici in Malesia

Uno studio ha analizzato in Malesia l’impatto della consulenza genetica contro il tumore delle ovaie. Secondo i primi risultati, basta un formazione genetica minima per tranquillizzare le pazienti e aiutarle nella scelta. Non solo medici genetisti, quindi: per un primo consulto, basterebbe che i normali medici si aggiornassero su questi nuovi temi.

Il test genetico BRCA serve a individuare eventuali mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. In base alla loro presenza o meno, si può valutare quale sia il rischio di sviluppare un cancro al seno o alle ovaie in futuro. È inoltre fondamentale in caso di tumore, per individuare le terapie migliori. Di solito il test viene prescritto alle donne con sospetta familiarità, a scopo preventivo. Si calcola però che 4 portatori su 10 non abbiano casi di tumore alle ovaie o al seno in famiglia.

Lo studio MaGiC ha analizzato qual è la prevalenza di mutazioni BRCA tra pazienti con tumore alle ovaie. Ha inoltre determinato la fattibilità di una maggiore estensione del test genetico in Malesia, anche attraverso una migliore formazione dei medici. Ad oggi, infatti, le consulenze genetiche sono disponibili solo nelle grandi città della Malesia.

Nel corso di due anni, i ricercatori hanno organizzato dei piccoli seminari riguardanti la consulenza genetica di base. In questo modo hanno dato una formazione basilare a 70 medici provenienti da 29 ospedali malesi. In un secondo momento, questi medici hanno seguito più di 800 donne affette da tumore alle ovaie. Le hanno informate riguardo il test genetico e le hanno consigliate una volta arrivati i risultati.

Delle 800 pazienti, 248 hanno partecipato allo studio, di cui 208 si sono sottoposte al test genetico. Il 13% di loro (27) ha mostrato di avere una mutazione BRCA, il che ha consentito di elaborare un percorso ad hoc per loro. Essere seguite con competenza e dedizione ha inoltre migliorato l’impatto psicologico del test sulle pazienti.

Cancro e strategie di prevenzione sono ancora temi tabù in Malesia. Secondo l’autore dello studio, espandere la conoscenza dei test genetici potrebbe fare molto in proposito. Consentirebbe di raggiungere anche chi non vive nelle grandi città e faciliterebbe l’elaborazione di terapie personalizzate.

Fonte: medicalxpress.com

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In via di sperimentazione un nuovo farmaco contro l’autismo

Uno studio guidato dal professor Stuart Lipton sta testando l’efficacia di un nuovo farmaco contro l’autismo, il NitroSynapsin. Per il momento il team sta eseguendo i test su modelli animali, ma i primi risultati sembrano essere promettenti. Il farmaco ha corretto buona parte delle anomalie cerebrali e comportamentali dei topi, con conseguenze positive sui sintomi tipici dello spettro autistico.

Il nuovo studio affonda le radici in uno studio del 1993. Lipton e il suo team di Harvard avevano identificato un gene coinvolto nello sviluppo cerebrale, il MEF2C. In seguito avevano scoperto che le cavie con una versione anomala di MEF2C mostravano sintomi simili a quelli dell’autismo. Ciò ha portato a identificare un’anomalia genetica simile nei bambini umani affetti da alcune forme di autismo.

Il gene MEF2C codifica una proteina che funge da fattore di trascrizione ed è coinvolto più o meno direttamente in molte forme di autismo. Ripristinare le funzionalità del gene dovrebbe quindi avere un effetto positivo sulla malattia. Il farmaco NitroSynapsin serve a bilanciare fattori di segnalazione inibitori e uno eccitanti all’interno del cervello, anomali in chi soffre di alcune forme di autismo.

I ricercatori hanno somministrato il farmaco alle cavie per tre mesi. I topi hanno risposto bene al trattamento. In molti di loro ha ridotto i comportamenti anomali e ha migliorato le funzioni cognitive e comportamentali. In alcuni casi le cavie sono quasi tornate a livelli nella norma. Il prossimo passo è verificare su quali forme di autismo NitroSynapsin è efficace quali sono gli effetti sull’essere umano.

Fonte: scripps.edu

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In via di sviluppo un trattamento contro l’atassia di Friedreich

I ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison hanno fatto un nuovo passo in avanti nella lotta contro l’atassia di Friedreich. Hanno usato una molecola progettata ad hoc per oltrepassare un ostacolo determinato da un difetto genetico. In vitro e su modelli animali, il procedimento ha dato ottimi risultati. Questo accende la speranza di trovare un trattamento efficace contro questa malattia genetica rara e fatale.

L’atassia di Friedreich, come altre 40 malattie genetiche, è provocata da stringhe ripetute di DNA. Ciò impedisce la formazione corretta delle proteine, a causa di blocchi cellulare che inceppano il meccanismo. Per risolvere il problema, i ricercatori hanno elaborato una sorta di protesi molecolare che faccia ripartire il meccanismo cellulare. Una componente della protesi individua la ripetizione, la seconda aiuta la cellula a bypassarla.

Per il momento i ricercatori hanno testato il procedimento in due tipi di test.

Nel primo test, gli scienziati hanno usato le linee cellulari di 20 pazienti con l’atassia di Friedreich. Applicata in vitro, la protesi molecolare ha aiutato le cellule a ripristinare l’espressione corretta del gene. In questo modo hanno ripreso anche a produrre la proteina mancante.

Nel secondo test, hanno usato la protesi su delle cavie. Anche in questo caso, il procedimento ha ristabilito il meccanismo di produzione della proteina.

Nonostante gli ottimi risultati, bisognerà aspettare ancora molti anni prima che si arrivi ai test sull’essere umano. Lo stesso team aveva infatti registrato un primo successo nel 2004, conclusosi però con un nulla di fatto. La molecola usata come protesi veniva infatti attirata da altre zone del DNA simili a quella interessata. Con il nuovo studio, i ricercatori sembrano aver risolto il problema del 2004, ma saranno comunque necessari ulteriori test.

Fonte: wisc.edu

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