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Aurora magazine

Virus Zika: un inaspettato aiuto contro il cancro

Il virus Zika potrebbe trasformarsi da flagello in nuovo alleato contro il cancro. Uno studio delle Università di Washington e della California San Diego ha analizzato gli effetti del virus sui tumori. Ha così scoperto che Zika attacca e uccide le cellule staminali tumorali, riuscendo dove i trattamenti standard falliscono.

I trattamenti standard contro il glioblastoma prevedono l’uso combinato di chemioterapia e radiazioni. Nonostante l’approccio aggressivo, spesso i medici non riescono a eliminare le cellule staminali malate. Ne consegue che i trattamenti eliminano le cellule tumorali, ma le staminali difettose ne producono altre. In gran parte dei casi il tumore si riforma in circa sei mesi e porta alla morte entro un anno.

Se entra in contatto con un feto, Zika ne uccide le cellule staminali neurali e ne impedisce lo sviluppo cerebrale. Una caratteristica terribile, che lo rende però una grande arma contro i tumori al cervello. Indirizzando il virus contro le staminali malate resistenti alle terapie normali, infatti, si ridurrebbe il rischio di recidive.

I ricercatori hanno infettato pezzi di tumore con Zika: come previsto, il virus ha eliminato tutte le cellule staminali malate. Ha lasciato intatte le cellule tumorali vere e proprie, quindi da solo non basta a eliminare il tumore. A questo scopo si dovrebbero comunque usare chemioterapia e radioterapia.

Gli scienziati hanno testato la procedura su 18 topi con glioblastoma. Le cavie sono sopravvissute molto più a lungo rispetto alle 15 del gruppo di controllo e non hanno subito danni a cellule sane. Per maggiore sicurezza, prima di passare ai test sull’uomo gli scienziati stanno elaborando una nuova versione del virus.

Fonte: medicine.wustl.edu

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Basterà una puntura per battere la leucemia?

Le autorità statunitensi hanno approvato una nuova terapia genica contro la leucemia, efficace in 8 casi su 10. I ricercatori hanno testato il trattamento su 64 bambini affetti da forme acute di leucemia. Chemioterapia e altri farmaci si erano già rivelati inutili per questi bambini. L’approccio di Novartis ha invece salvato loro la vita.

Il trattamento inizia con il prelievo di alcuni campioni di sangue del paziente. I medici isolano i linfociti T e li legano al recettore CAR-T, in modo che individuino una proteina propria delle cellule malate. Ciò permette loro di mirare alle cellule leucemiche e distruggerle nel giro di 3 mesi, lasciando intatte le cellule sane.

Nonostante la terapia abbia salvato la vita a 8 bambini su 10, ha tuttavia dimostrato di avere effetti collaterali anche importanti. Provoca un abbassamento della pressione, congestione polmonare e in alcuni casi problemi neurologici. I linfociti T, infatti, liberano delle sostanze dannose per le funzioni dell’organismo. Sono comunque conseguenze affrontabili e di certo preferibili a una morte altrimenti quasi inevitabile.

I test avevano già dimostrato l’efficacia del trattamento, ma mancava l’approvazione dell’Fda per la commercializzazione. Grazie al via libera, i medici degli ospedali autorizzati preleveranno i linfociti T dai pazienti e li manderanno presso le sedi dell’azienda. Lì alcuni specialisti provvederanno a ingegnerizzarli nel giro di un mese, affinché siano iniettati nei pazienti.

Fonte: corriere.it

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Biopsia liquida più efficace per la diagnosi del cancro

Arriva la prima grossa prova dell’efficacia della biopsia liquida nella diagnosi dei tumori. Un team di Hong Kong ha testato la nuova tecnologia su tumori alla testa e al collo. In questo modo i ricercatori hanno aumentato il tasso di diagnosi precoci e di sopravvivenza.

Le biopsie liquide individuano il DNA che i tumori rilasciano nel sangue e si usano soprattutto per monitorare l’avanzamento del tumore. I ricercatori stanno sviluppando delle versioni da usare per la diagnosi precoce di un ampio ventaglio di tumori. Secondo un nuovo studio, gli scienziati cinesi hanno scoperto un approccio efficace su almeno un tipo di tumore.

Lo studio si è incentrato sul cancro nasofaringeo, che si sviluppa in cima alla gola e dietro il naso. È un tumore aggressivo e una diagnosi precoce potrebbe essere determinante in molti casi. Purtroppo è anche molto difficile da diagnosticare, per cui la biopsia liquida potrebbe salvare un gran numero di vite.

In molti casi, il tumore nasofaringeo è correlato al virus Epstein-Barr. Gli studiosi hanno quindi sviluppato un modo per individuare non solo il DNA tumorale, ma anche quello virale. Il ragionamento si è dimostrato efficace: su 20.000 uomini a rischio testati, 1.112 (5,5%) presentavano tracce del virus. Di questi, 309 mostravano anche tracce di DNA tumorale e 34 avevano un tumore. Solo 1 persona ha sviluppato il tumore nonostante l’esito negativo del test.

Nel 71% dei casi, il tumore diagnosticato era alle primissime fasi e quindi più facile da trattare. Solo il 20% dei soggetti del gruppo di controllo ha invece ricevuto una diagnosi precoce. Ciò ha permesso di intervenire prima e con metodi più efficaci, aumentando il tasso di sopravvivenza dei pazienti. A 3 anni dalla diagnosi, il 97% dei pazienti erano vivi, contro il 70% del gruppo di controllo.

Fonte: cbsnews.com

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La povertà si manifesta nel cervello dei bambini?

Il team del Dr Kimberly Noble della Columbia University ha studiato gli effetti della povertà su dei cervelli immaturi. Ha così provato che crescere in un ambiente povero può effettivamente influenzare il modo in cui il cervello si sviluppa. Si parla della povertà in sé, non dell’alimentazione, del linguaggio usato nel contesto sociale, della stabilità familiare. Pura e semplice indigenza.

Nei primi anni 2000 Kimberly Noble e Martha Farah osservarono che i bambini poveri tendevano ad avere risultati accademici peggiori. Iniziarono quindi a cercare le cause neurocognitive dietro al fenomeno, per provare un’eventuale correlazione tra stato socioeconomico e performance accademiche. Era la prima volta che qualcuno si poneva il problema.

Nel 2005 Noble e Farah reclutarono 60 bambini provenienti dalle scuole pubbliche di Filadelfia. Diedero loro una serie di test cognitivi, ciascuno dei quali collegato a un circuito cerebrale specifico. I risultati dei bambini di ceto sociale più basso risultarono peggiori rispetto a quelli dei bambini di ceto più alto. Le risonanze magnetiche successive rivelarono inoltre che certe aree del cervello erano meno sviluppate.

Nel 2015 un nuovo studio di Noble, condotto su 1.099 bambini e ragazzi confermò quanto scoperto nel 2005. La scienziata sta ora organizzando un nuovo studio, che durerà 5 anni e coinvolgerà più di 1.000 famiglie indigenti. La metà di queste riceverà $4000 dollari all’anno, l’altra metà riceverà solo $240. Se quanto scoperto in precedenza fosse vero, lo studio dovrebbe registrare differenze importanti tra i bambini del primo e del secondo gruppo.

La scoperta ha implicazioni importantissime dal punto di vista politico. Se ci fosse veramente una correlazione tra povertà e sviluppo neurocognitivo, sarebbe ancora di più dovere dei politici garantire un livello di assistenza minimo alle famiglie indigenti. Ne andrebbe non solo della dignità del singolo individuo adulto, ma anche del futuro di chi è ancora bambino.

Fonte: theguardian.com

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