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Aurora magazine

Un collegamento tra allergie in gravidanza e ADHD?

Una ricerca dell’Università dell’Ohio analizza le conseguenze sul feto delle allergie in gravidanza. Gli autori hanno riscontrato cambiamenti significativi nei cervelli di alcuni cuccioli, esposti ad allergeni mentre erano nel ventre materno. Una volta cresciute, le cavie avrebbero mostrato comportamenti antisociali, ansia, iperattività e disturbo da deficit di attenzione (ADHD).

Prima della gravidanza, i ricercatori hanno sensibilizzato le cavie all’ovalbumina, una sostanza che normalmente si trova nei bianchi d’uovo. Una volta aver ingravidato le femmine, le hanno esposte all’allergene e hanno stimolato una risposta immunitaria in loro. Hanno quindi tenuto sotto osservazione i piccoli, misurandone il numero delle cellule immunitarie, analizzandone il comportamento e verificando eventuali conseguenze sullo sviluppo cerebrale. Hanno inoltre misurato la quantità di attività fisica nei giovani ratti, la predisposizione all’ansia e i loro comportamenti sociali.

Nelle giovani cavie esposte agli allergeni i ricercatori hanno rilevato un livello più alto di mastociti, cellule che di solito intervengono in caso di reazioni allergiche. I loro cervelli avevano inoltre spine dendritiche di lunghezza anomala, il che significa che il collegamento tra le cellule della corteccia frontale era profondamente modificato. I soggetti erano inoltre iperattivi, ma con un basso livello di comportamenti ansiosi. I maschi erano anche meno propensi a litigare con gli altri cuccioli e a socializzare con loro, nonostante l’iperattività. Tutti sintomi di un disturbo da deficit d’attenzione.

Lo studio stabilisce un collegamento tra allergeni e disturbi come l’ADHD e l’autismo. Questi provocano cambiamenti profondi a livello cellulare, cambiamenti la cui natura è però ancora tutta da chiarire. È ad esempio ancora poco chiaro perché autismo e deficit di attenzione siamo quasi quattro volte più comuni tra i maschi. La percentuale è la stessa anche tra le cavie, il che fa pensare a fattori ancora sconosciuti che rendono i maschi più vulnerabili al rischio di sviluppare la malattia.

Fonte: news.osu.edu

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Diabete gestazionale: l’eccesso di ferro in gravidanza aumenta il rischio

Uno studio dei National Institutes of Health mostra la correlazione tra eccesso di ferro e diabete in gravidanza. Pare infatti che le donne con troppo ferro in circolo rischino 2,5 volte di più di sviluppare il diabete gestazionale.

Lo studio mette quindi in discussione l’assunzione di integratori di ferro in gravidanza, diventata quasi una routine. Al contrario, sarebbe bene analizzare ogni singolo caso a parte.

È noto che la carenza di ferro in gravidanza è dannosa sia per la donna che per il bambino. Si sapeva però poco degli effetti di un eccesso di ferro. I ricercatori hanno quindi studiato 107 casi di diabete gestazionale, confermati mediante il test del carico orale di glucosio, e 214 soggetti a rischio. Hanno analizzato i livelli dei marcatori delle riserve di ferro, rilevati sia prima che dopo l’eventuale diagnosi di diabete gestazionale. Tra i marcatori evidenziati c’erano la ferritina, l’epcidina plasmatica e il recettore solubile della transferrina.

I ricercatori si sono concentrati sulle donne nel secondo trimestre aventi livelli di epcidina e ferritina superiori al 75mo percentile. Confrontandole con donne aventi livelli inferiori al 25mo percentile, hanno scoperto che avevano 2,5 volte di più il rischio di sviluppare il diabete gestazionale. Hanno ottenuto risultati analoghi osservando i livelli di ferritina nel primo trimestre. Si può quindi parlare di un rapporto causa ed effetto? Se sì, in che modo?

Secondo gli autori dello studio, le proprietà pro-ossidanti del ferro potrebbero avere un ruolo nell’insorgere del diabete. Il ferro promuove infatti la produzione di radicali liberi, aumentando così i livelli di stress ossidativo. Lo stress ossidativo colpisce le cellule beta pancreatiche e talvolta le distrugge. Ciò provoca anomalie della sintesi e nella secrezione dell’insulina. Inoltre, le riserve di ferro nel fegato possono provocare resistenza all’insulina, con conseguenze negative sulle sue capacità di estrarre l’insulina.

I risultati dello studio spingono quindi verso una maggiore attenzione alla prescrizione di ferro e agli esami di screening prenatale da eseguire per monitorare la salute della donna. Gli autori suggeriscono di evitare l’uso di integratori di ferro in soggetti con riserve già sufficienti.

Fonte: quotidianosanita.it

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Ad ogni donna la sua dose di vitamina D

Uno studio dell'Università di Southampton esamina gli effetti dell’assunzione di vitamina D in gravidanza. Emerge che la risposta cambia di donna in donna. Per questo motivo, lo studio suggerisce che i dosaggi e le modalità di assunzione dovrebbero essere personalizzati.

La ricerca ha coinvolto oltre 800 puerpere. Ad una parte di loro i medici hanno assegnato 25 microgrammi di vitamina D, da assumere tutti i giorni a partire dalla quattordicesima settimana fino alla fine della gravidanza. Al gruppo di controllo hanno prescritto invece un placebo. Le osservazioni rivelano che le gestanti hanno reagito in maniera diversa agli integratori, a seconda delle loro caratteristiche individuali e della stagione del parto. In particolare, il surplus di vitamina D ha avuto maggiori effetti sulle donne che hanno partorito in estate, su quelle che sono ingrassate meno in gravidanza e su coloro con livelli ematici più alti.

È importante comprendere quale potrebbe essere la risposta di ciascuna donna ai dosaggi degli integratori. La vitamina D è infatti essenziale per la crescita di ossa e muscoli nel feto. Eventuali carenze possono provocare anomalie nello sviluppo e provocare anche disabilità permanenti. In natura la produzione di vitamina D dipende dall’esposizione al sole, ma oggi sono sempre più frequenti le carenze. Per questo motivo è sì fondamentale intervenire con degli integratori là dove necessario, ma anche comprendere come calibrare i dosaggi in base alla singola paziente.

Fonte: ilsole24ore.com

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Maggiore rischio di ictus in gravidanza per le donne giovani

La gravidanza aumenta il rischio di ictus più nelle donne giovani che in quelle adulte. Lo dice uno studio del Columbia University Medical Center, condotto su donne tra i 12 e i 55 anni suddivise in tre gruppi in base all’età. Lo studio è però ancora poco chiaro sulle cause del fenomeno.

Si calcola che 34 donne su 100.000 abbiano un ictus associabile alla gravidanza. Negli ultimi anni, con l’aumentare dell’età media delle puerpere, si è riscontrato anche un aumento del fenomeno. La spiegazione più diffusa sta nella concomitanza tra l’aumento del rischio dovuto alla gravidanza e quello dovuto in genere all’età della gestante. Fino ad ora, però, in pochi avevano comparato l’incidenza di ictus in donne adulte non incinte con quello in coetanee incinte.

Lo studio in questione ha esaminato i dati delle donne colpite da ictus a New York tra il 2003 e il 2012. I dati riguardavano più di 19.000 donne tra i 12 e i 55 anni, di cui il 4% circa incinte o madri da pochi giorni. È emerso che il rischio di ictus durante o subito dopo la gravidanza era più alto con il crescere dell’età. I dati mostravano infatti un’incidenza di quasi 47 donne su 100.000 tra i 45 e i 55, contro 14 donne su 100.000 tra i 12 e i 24 anni. I ricercatori hanno però confrontato i dati in questione con quelli delle donne non in gravidanza.

Le puerpere tra i 12 e i 24 anni hanno meno possibilità di avere un ictus rispetto alle puerpere adulte. In compenso, hanno il doppio delle probabilità rispetto alle coetanee non incinte. Per le donne tra i 25 e i 34 anni, invece, la gravidanza aumenta il rischio di ictus solo di 1 volta e mezza. La differenza cala ulteriormente tra i 35 e i 55 anni. Le ragioni non sono ancora chiare, ma ulteriori ricerche aiuteranno a comprenderle e a prevenire il fenomeno.

Fonte: columbia.edu

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