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Aurora magazine

Individuato un ormone che supporta le prime fasi della gravidanza

I ricercatori dell’Università di Edimburgo hanno individuato un ormone che facilita l’impianto dell’embrione. La scoperta potrebbe aiutare a migliorare le attuali tecniche per la fecondazione assistita.

Ogni mese gli ormoni inviano segnali chimici specifici all’utero, così da renderlo favorevole alla gravidanza. Gli ovuli appena fecondati sono infatti molto sensibili e richiedono un ambiente particolare. Qualsiasi cambiamento rischia di invalidare l’impianto e far naufragare la gravidanza sul nascere.

Gli scienziati non sanno ancora quali sono le esatte caratteristiche necessarie per l’impianto dell’embrione. Un team di Edimburgo ha però individuato un ormone che pare essere coinvolto nel processo, il DHEA. L’ormone DHEA diminuisce in maniera significativa nel corso della vita. Potrebbe quindi giocare un ruolo chiave nell’infertilità femminile dovuta all’età o ad altri fattori.

I ricercatori ne hanno testato gli effetti su dei tessuti sani, donati da donne che si stavano sottoponendo a interventi non correlati. Le cellule dell’utero trattate con DHEA hanno sviluppato il doppio delle proteine associate all’impianto dell’embrione. L’ormone ha inoltre aumentato la produzione di androgeni attivi, ormoni in prevalenza maschili. Secondo i ricercatori, questi ultimi ormoni potrebbero essere collegati ai cambiamenti positivi rilevati.

È ancora presto per parlare di un vero e proprio trattamento per l’infertilità. Secondo l’autore principale dello studio, il dottor Gibson, la scoperta è comunque un passo importante. Potrebbe aiutare a comprendere meglio come funziona l’impianto in utero. In questo modo sarebbe più facile sviluppare trattamenti per facilitarlo.

Fonte: ed.ac.uk

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Come l’endometriosi influenza la fecondazione in vitro

Per chi soffre di endometriosi, il concepimento naturale può essere molto difficoltoso. In compenso, la fecondazione in vitro può essere un valido aiuto e aumentare le chance di diventare mamma. Bisogna però tenere conto di alcuni importanti fattori, in modo da non aggravare le condizioni dell’aspirante mamma.

Secondo il dottor Mark Surrey, introdurre ormoni nell’organismo può influenzare il corso della malattia. Le terapie ormonali per la IVF, infatti, tendono ad aumentare i livelli di estrogeni. Se portate avanti a lungo, le terapie possono far peggiorare l’endometriosi danneggiando salute e fertilità.

Dev’essere cura del medico fare in modo che qualsiasi mutamento nell’organismo non sia in peggio. Quindi, prima di cominciare la stimolazione ovarica, è necessario agire sull’endometriosi. In questo modo si aumentano le possibilità di concepire e si salvaguarda la salute della donna.

Diversi studi hanno provato l’utilità di effettuare una laparoscopia prima della fecondazione in vitro. L’operazione prevede la rimozione dell’endometrio in eccesso, eliminando le cisti che ostacolano il concepimento. Una volta trascorso il tempo di ripresa necessario, l’organismo è pronto per i cicli di fecondazione in vitro.

Nel caso in cui non fosse possibile effettuare la laparoscopia, bisogna agire sulle modalità della stimolazione ovarica. Il Ganirelix o il Cetrotide prevengono l’ovulazione precoce e lasciano ai follicoli il tempo di svilupparsi. Il dottor Tomer Singer raccomanda inoltre un controllo costante delle condizioni dell’endometrio. In caso di bisogno, agisce sui livelli di estrogeni in modo da ridurre i dolori e preservare la qualità degli ovociti.

Fonte: endofound.org

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Le cellule staminali possono ringiovanire le ovaie

I ricercatori dell’Università dell’Illinois di Chicago hanno ringiovanito le ovaie di due donne affette da menopausa precoce. A questo scopo, hanno usato delle cellule staminali iniettate direttamente nelle ovaie. Nel giro di sei mesi, le donne hanno ricominciato ad avere il ciclo mestruale e potrebbero tornate fertili. Dato il successo di questo primo test, il prossimo passo sarà estendere il trattamento ad altre 33 donne.

I ricercatori hanno usato cellule staminali mesenchimali autologhe, ottenute dal midollo osseo delle pazienti. Le hanno iniettate in una ovaia sola, in modo da poter prendere nota delle differenze con l’altra. Dopo il trapianto, hanno eseguito sulle due donne esami del sangue, ecografie e studi di sicurezza. Tutto il necessario per tenere sotto controllo i sintomi della menopausa e lo stato di salute delle pazienti.

Il coordinatore dello studio Ayman Al-Hendy ha riportato un aumento dei livelli di estrogeni a tre mesi dal trapianto. Inoltre, le ovaie trattate sono cresciute in dimensioni rispetto a quelle di controllo. Nessuna delle due donne ha dato segno di complicazioni o effetti collaterali. Secondo i ricercatori, è possibile che le donne tornino fertili e siano in grado di concepire.

Lo studio di Al-Hendy non è il primo che mira a curare la menopausa precoce usando le staminali. È stata però la prima volta che i ricercatori hanno iniettato le cellule staminali direttamente nelle ovaie. In un test della Clinica Ivi di Valencia, infatti, gli studiosi le avevano iniettate attraverso l’arteria ovarica.

Se lo studio avesse successo, darebbe una nuova speranza a tante donne colpite da menopausa precoce. Potrebbe inoltre aiutare quante incorrono in questa condizione a causa di un tumore.

Fonte: huffingtonpost.it

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Effetti della chirurgia salva-fertilità nei tumori ovarici

Un recente studio ha valutato gli effetti della chirurgia salva-fertilità in donne con tumori ovarici borderline.

I ricercatori hanno analizzato i dati di 213 donne e le hanno seguite per una media di 75 mesi. Nell’81% dei casi si trattava di un tumore in fase 1, nel 4% di un tumore in fase 2 e nel 15% di un tumore in fase 3. Le donne soffrivano di tipi diversi di tumore: 140 avevano un carcinoma ovarico sieroso; 69 un tumore mucinoso borderline. L’età media delle donne era 38,7 anni e il 62% di loro aveva meno di 40 anni al momento della diagnosi.

Delle 213 donne seguite, 112 hanno subito un’operazione chirurgica salva-fertilità. In quasi metà dei casi si è trattato di chirurgia conservativa, come cistectomia e ovariectomia parziale. Su 50 pazienti che avevano una recidiva in corso, 40 hanno subito la chirurgia conservativa. Le analisi hanno rivelato un collegamento tra chirurgia conservativa e aumento del rischio di recidive.

Durante lo studio, sono morte 20 donne. In 11 casi, la causa è stata il tumore alle ovaie e 6 di loro aveva subito un intervento conservativo. Ciononostante, i ricercatori non hanno trovato alcun collegamento tra preservazione della fertilità e mortalità maggiore. Invece, hanno documentato circa 67 gravidanze in 42 donne.

Secondo gli autori dello studio, una diagnosi precoce e il ricorso alla chirurgia salva-fertilità aumenterebbe le possibilità di concepire. In ogni caso, le probabilità rimangono legate all’età della paziente, alle sue riserve ovariche e allo stato di salute generale.

Fonte: medscape.com

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