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Aurora magazine

Nuovo farmaco per la IVF mostra risultati incoraggianti

La fase 3 dei trial clinico di nolasiban sta dando risultati incoraggianti. Lo riporta la compagnia biofarmaceutica ObsEva, che ha sviluppato il farmaco per le procedure di fecondazione in vitro. Secondo i ricercatori, il farmaco è efficace e ben tollerato dall’organismo.

Il trial ha coinvolto 778 pazienti che si stavano sottoponendo a cicli di fecondazione in vitro. Metà di queste hanno ricevuto 900 mg di nolasiban, l’altra metà ha ricevuto un placebo. L’assunzione è avvenuta quattro ore prima del trasferimento dell’embrione in utero. L’assegnazione del farmaco o del placebo è stata del tutto casuale.

Il primo step importante sono stati gli ultrasuoni 10 settimane dopo l’impianto. Le donne che hanno ricevuto il farmaco hanno mostrato un tasso di gravidanza superiore del 7,1% rispetto all’altro gruppo. Infatti, il 35,6% di queste era incinta contro il 28,5% dell’altro gruppo. Un dato non solo significativo dal punto di vista statistico, ma anche dal punto di vita clinico.

Secondo i ricercatori, la scoperta rappresenta un grosso passo in avanti per le procedure di fecondazione in vitro. La pratica, che hanno chiamato IMPLANT2, potrebbe essere una vera rivoluzione. Prima che la cosa sia confermata, però, sarà necessario aspettare ulteriori dati.

La compagnia rilascerà il resto dei dati nel 2019. Il nuovo report comprenderà il numero di nati vivi e i dati riguardanti lo stato di salute dei bambini. Solo a quel punto, sarà possibile determinare se la procedura e il farmaco sono sicuri per la donna e per la sua prole.

Fonte: fiercebiotech.com

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L’inquinamento è la prima causa di infertilità maschile

I dati riportano che l’inquinamento è la prima causa di infertilità maschile. Si calcola che il numero di spermatozoi prodotti da ogni uomo si sia dimezzato negli ultimi 30 anni. Secondo alcuni partecipanti al congresso di Firenze sulla PMA, la situazione potrebbe addirittura peggiorare. Man mano che l’esposizione alle polveri sottili aumenta, infatti, rischiano di aumentare anche i casi di infertilità maschile.

Le possibili minacce alla fertilità maschile sono molte più di quelle che si tende a immaginare. Le polveri sottili provocano circa il 60% dei problemi di infertilità maschile. Il problema tocca in particolare gli uomini che vivono nelle grandi città, o esposti a grandi quantità di inquinanti. L’area di Pescia in provincia di Pistoia, ad esempio, è molto interessata all’inquinamento provocato da concimi e fertilizzanti. Lo denuncia il professor Luca Mencaglia del centro PMA dell’Asl Sud-Est Toscana.

Tra i colpevoli ci sono però anche altri fattori. Fumo e alcool sono tra le principali cause di infertilità, insieme all’inquinamento. Anche l’eccessiva esposizione a fonti di calore e radiazioni può essere un problema, in particolare per operai e cuochi. Inoltre, la plastica usata per le confezioni di acqua e alimenti è un altro fattore di rischio sia per le donne sia per gli uomini. Se lasciate al sole, le bottiglie dell’acqua possono rilasciare estrogeni sintetici. Alla lunga, questi possono provocare infertilità.

Fonte: ansa.it

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Scoperto perché l’obesità provoca infertilità maschile

Uno studio cinese potrebbe spiegare perché gli uomini obesi hanno problemi di infertilità. I ricercatori hanno mostrato che chi è obeso ha livelli più alti di marker infiammatori nel fluido seminale. Ha inoltre meno spermatozoi e di qualità minore. La causa di tutto questo potrebbe stare nelle infiammazioni croniche all’apparato riproduttivo.

L’obesità provoca un gran numero di disturbi, tra cui anche una netta riduzione della fertilità. Il fenomeno potrebbe essere collegato a un altro disturbo tipico: le infiammazioni. Le cellule adipose producono delle proteine pro-infiammatorie. Ne risulta che chi è obeso soffre spesso di infiammazioni croniche che toccano vari tessuti.

I ricercatori cinesi hanno comparato i livelli di marker infiammatori nei genitali di cavie normopeso e obese. Hanno scoperto che le cavie obese mostravano cambiamenti strutturali nei testicoli e nella produzione di ormoni. I topi obesi avevano livelli più bassi di testosterone e livelli più alti di proteine pro-infiammatorie. Tutti questi elementi intaccavano la qualità dello sperma e le capacità di riprodursi delle cavie.

La seconda fase dello studio ha analizzato campioni di 272 volontari umani, 82 normopeso, 150 sovrappeso e 40 obesi. I volontari obesi mostravano alti livelli di proteine pro-infiammatorie. I loro campioni avevano inoltre meno spermatozoi e meno mobili. Ciò significa che in quelle condizioni l’unica speranza per riprodursi stava nella procreazione assistita. A meno di non cambiare stile di vita.

Lo studio è andato oltre il provare un collegamento tra obesità e infertilità. Ha anche ipotizzato che la perdita di peso potrebbe essere una buona strategia per recuperare almeno parte della fertilità. In alcuni casi, questo potrebbe prevenire danni permanenti ed evitare il ricorso alla PMA.

Fonte: frontiersin.org

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Le cellule immunitarie immature predicono l’esito della IVF

Nelle donne affette da endometriosi, l’analisi delle cellule immature del sistema immunitario nell’endometrio potrebbe predire l’esito della IVF. È quanto afferma uno studio del Trinity College di Dublino.

L’endometriosi è una delle cause principali di infertilità tra le donne. Si sospetta che le alterazioni nell’ambiente uterino ostacolino l’impianto dell’embrione. Nonostante sia ancora poco chiaro quale sia la causa del fenomeno, si sospetta che stia nel sistema immunitario. Le cellule immunitarie pro-infiammatorie sono infatti un elemento cruciale nell’endometriosi. In più, alcuni studi hanno mostrato il possibile ruolo delle cellule killer uterine in tutto questo.

Si pensa che le cellule killer dell’utero contribuiscano alla formazione di nuovi vasi sanguigni durante lo sviluppo della placenta. La relazione tra queste cellule e l’infertilità di chi soffre di endometriosi è, però, ancora poco chiara. Lo studio irlandese ha, quindi, analizzato campioni di sangue e di endometrio di circa 58 donne affette dalla malattia.

Tra le partecipanti, 33 si sono sottoposte a tecniche di fecondazione assistita, tra cui: fecondazione in vitro; inseminazione intrauterina; iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo; trasferimento di embrioni congelati. Di queste, 23 sono rimaste incinte e 10 no. Le altre 25 partecipanti allo studio hanno concepito in maniera naturale dopo essersi operate per l’endometriosi.

Le analisi non hanno rivelato differenze significative nei livelli di cellule killer tra le donne che avevano concepito e quelle che non l’avevano fatto. Analisi ulteriori dell’endometrio hanno però mostrato che le donne che avevano concepito avevano livelli più alti di cellule progenitrici killer. È quindi probabile che i livelli di queste cellule mostrino quante possibilità ci sono che l’impianto dell’embrione abbia successo.

Fonte: endometriosisnews.com

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