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Aurora magazine

Il primo ovocita umano cresciuto in laboratorio è pronto per la fecondazione

Evelyn Telfer da oltre 30 anni studia la macchina della riproduzione umana, ed è arrivata ad un risultato senza precedenti. Insieme alla sua squadra è riuscita ad isolare degli ovociti dal tessuto ovarico fresco per farli crescere in laboratorio in diversi substrati, arrivando al giusto grado di maturazione per poter essere pronti per la fecondazione, dando così una grande possibilità di gravidanza anche alle donne che guariscono da un tumore.  
I risultati di questo studio straordinario sono stati pubblicato su “Molecular Human Reproduction”.

Questa scoperta è un nuovo passo nello studio per preservare la fertilità delle donne con un tumore, che devono affrontare una chemioterapia che può danneggiare le ovaie. Ad oggi, prima delle terapie, le pazienti possono sottoporsi ad un prelievo degli ovociti, che vengono poi congelati ed utilizzati dopo la guarigione, con tecniche di procreazione assistita (Pma). L’alternativa, anche se considerata ancora sperimentale, è quella di prelevare un pezzo di tessuto ovarico

Per poterlo reimpiantare, però, come ha sottolineato Eleonora Porcu, responsabile del Centro di Infertilità e Procreazione Medicalmente Assistita del Policlinico S. Orsola-Maalpighi di Bologna, è necessario un ulteriore intervento chirurgico, invasivo. Inoltre, non sempre l’ovaio riprende a funzionare e si potrebbe avere anche il rischio, reimpiantando il tessuto, di reintrodurre il cancro, nel caso fossero presenti cellule cancerose. Prelevando gli ovociti da far crescere in vito, invece, il rischio di cancro si abbassa drasticamente.

Si tratta di un grande traguardo, in quanto prima di questo momento nessuno era mai riuscito ad ottenere in laboratorio degli ovociti maturi da un essere umano (solo da topi e pecore).

Eleonora Porcu ha aggiunto che si tratta di un grande passo avanti, a cui però sono ancora associate tante domande condivise dai ricercatori stessi.
Il tessuto ovarico utilizzato era fresco. Ma cosa succede se si congela come si fa di solito? Inoltre, la percentuale di ovociti che arriva allo stadio di fecondazione è molto bassa e vi sono diverse anomalie. Gli autori dello studio hanno scritto di aver notato in alcuni ovociti un grande globulo polare, che indica un’anomalia. Ovociti del genere, solitamente, nella Pma vengono scartati,in quanto possono trasmettere queste eventuali anomalie all’embrione.

Lo studio, quindi, è ancora in fase sperimentale e per questo Eleonora Porcu ci tiene a non dare troppe false speranze, nonostante il grande passo avanti fatto al momento. Si tratta di dare qualche possibilità in più alle pazienti che sono guarite da un tumore, ma non si è ancora ai punti di risolvere i problemi di infertilità.

Lorenzo D’Avack, bioeticista e presidente vicario del Comitato nazionale di bioetica, intervistato dall’Ansa, definisce questa scoperta, se finalizzata alla procreazione umana, condannabile e pericolosa scientificamente. Inoltre, ritiene inaccettabile l’eventuale utilizzo di ovociti sviluppati in laboratorio con lo scopo di curare malattie.

Cristina Eguizabal Argaiz, a nome dell’Eshre (società europea per la riproduzione umana e l’embriologia) ha spiegato su Repubblica che si tratta di una scoperta davvero interessante ma invita alla cautela, in quanto è stato utilizzato un tessuto di donne giovani (30 anni) e non di donne più anziane o con problemi di infertilità, quindi non si può sapere al momento se può essere efficace anche in questi casi. È necessario continuare con nuovi studi per dimostrare la funzionalità degli ovociti.

Fonte:
repubblica.it

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La dieta mediterranea aiuta la IVF

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Human Reproduction, chi segue la dieta mediterranea ha più possibilità di successo con la IVF. I ricercatori hanno analizzato la dieta di un gruppo di donne che stavano per sottoporsi a fecondazione in vitro. Hanno così scoperto che coloro che mangiavano verdura, legumi e pesce avevano il 65-68% di possibilità in più di rimanere incinte.

Lo studio si è concentrato più sulla dieta nel suo insieme che sul consumo di singoli nutrienti. Gli studiosi hanno esaminato la dieta di 244 donne greche negli ultimi 6 mesi mediante un questionario. Tutte le donne avevano tra i 22 e i 41 anni, erano in buona salute e avevano un indice di massa corporea sotto il 30. I ricercatori hanno valutato il grado di “mediterraneità” delle diete, dando un punteggio da 0 a 55.

Il team del professor Nikos Yiannakouris ha diviso le donne in 3 gruppi, in base al grado di mediterraneità della loro dieta. Il primo gruppo comprendeva le donne che non seguivano una dieta mediterranea. Il secondo gruppo comprendeva coloro che seguivano una dieta non del tutto mediterranea. Il terzo gruppo comprendeva le donne che seguivano una dieta mediterranea.

Le 86 donne che seguivano una dieta mediterranea hanno avuto un tasso di gravidanze del 50%, contro il 29% degli altri gruppi. Ciò significa che una dieta sana come quella mediterranea aumenta in maniera significativa le possibilità di successo della IVF, specie sotto i 35 anni. Inoltre, anche se lo studio si è concentrato sulle donne, la dieta mediterranea è determinante anche per la qualità del seme.

Fonte: eshre.eu

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I pericoli sconosciuti per la fertilità del micoplasma genitale

Il micoplasma genitale sta diventando resistente agli antibiotici. È un batterio poco conosciuto, responsabile di una infezione sessualmente trasmissibile. Lo conoscono in pochi e raramente causa dei sintomi, eppure solo nel Regno Unito colpisce circa 1 persona ogni 100. Inoltre, se lasciata non trattata l’infezione potrebbe portare all’infertilità.

I sintomi dell’infezione da micoplasma sono scarsi e comprendono perdite, bruciore mentre si urina, dolore durante i rapporti sessuali. Se non trattata, l’infezione provoca infertilità e parti prematuri. Il batterio è noto da qualche decennio, ma solo di recente hanno scoperto che è sessualmente trasmissibile. Anche per questo motivi, di solito non è compreso tra i controlli di routine per le malattie sessualmente trasmissibili.

Il batterio è trattabile con gli antibiotici, ma sta mutando. Con l’aumento dell’infezione, infatti, sta diventando sempre più difficile da trattare e resistente agli antibiotici. Per scongiurare il pericolo, i ricercatori australiani stanno sviluppando un test che individua la versione mutata del batterio. Ciononostante, rimane una certa tensione nell’ambiente.

Il dottor Burbidge avverte che bisognerebbe fare il test ogni volta che si hanno comportamenti sessuali a rischio. I sintomi di raro si presentano e, quando accade, potrebbe essere troppo tardi.

Fonte: independent.co.uk

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Il trigger ovulatorio non influenza il numero di cromosomi

Uno studio statunitense rivela che il tipo di trigger ovulatorio usato per la IVF non influenza il numero di cromosomi dell’embrione. Lo scopo dello studio era determinare se usare un agonista GnRH influenza la qualità degli embrioni.

Fino a poco tempo fa, la gonadotropina corionica era l’unica opzione disponibile per stimolare l’ovulazione. Negli ultimi tempi, si sta facendo strada l’uso dell’agonista dell'ormone di rilascio le gonadotropine (GnRH).

Entrambe le sostanze servono a stimolare la maturazione degli ovociti da usare per la fecondazione in vitro. Cambia il meccanismo usato a questo scopo. La gonadotropina corionica spinge le ovaie a ovulare. Il GnRH, invece, lavora sulla ghiandola pituitaria per stimolare indirettamente l’ovulazione. In questo modo si imita il processo naturale che porta una donna a ovulare.

La gonadotropina corionica aumenta il rischio di sindrome da iperstimolazione ovarica. Questo rischio è quasi del tutto assente nelle donne che usano il GnRH. I ricercatori volevano però verificare che non ci fossero altri rischi per la donna e per l’embrione.

I ricercatori hanno analizzato in retrospettiva 3.049 biopsie di embrioni, ottenuti mediante 707 cicli di IVF per 543 pazienti. Hanno confrontato gli embrioni delle pazienti trattate con la gonadotropina corionica con quelli delle pazienti che avevano usato il GnRH. In particolare, hanno confrontato il tasso di aneuploidia nei due gruppi, ovvero la presenza di un numero anormale di cromosomi.

Lo studio non ha svelato differenze significative tra l’uso di gonadotropina corionica e quello del GnRH come trigger ovulatorio. È quindi possibile usare entrambe le sostanze in sicurezza, scegliendo la migliore in base al singolo caso.

Fonte: dailytelescope.com

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