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Aurora magazine

Flint: la città americana sterile a causa dell’acqua avvelenata

La città statunitense di Flint ha tassi di fertilità bassissimi a partire dal 2014. Secondo Daniel Grossman e David Slusky, la causa sta nell’acqua del fiume che attraversa la città. Nel 2014, infatti, la città ha cominciato a rifornirsi dal fiume per risparmiare sull’acqua pubblica. La decisione si è però tradotta in un crollo della natalità.

Gli abitanti della città hanno fin da subito manifestato perplessità riguardo la qualità dell’acqua. Secondo i residenti, l’acqua aveva un odore e un aspetto strano. Le autorità assicuravano però che l’acqua era sicura da bere e da usare. Affermazioni in contraddizioni con gli eventi che hanno iniziato a verificarsi dal 2014.

Il calo della fertilità a Flint è stato in primo luogo dato da un aumento nella mortalità fetale. Tra novembre 2013 e marzo 2015, ci sarebbero stati circa 198-276 aborti spontanei in più rispetto agli anni precedenti. Secondo gli autori dello studio, sarebbero stati tutti ricollegabili all’uso dell’acqua del fiume Flint. Inoltre, era aumentato il numero di bambini con alti livelli di piombo nel sangue.

Ad ottobre 2015, la città è tornata a rifornirsi nelle acque del lago Huron. Le conseguenze continuano però ancora oggi. Il piombo nel sangue ha provocato deficit cognitivi, comportamenti antisociali, problemi a cervello, fegato e reni. Ha avuto conseguenze devastanti sui tassi di fertilità, che sono rimasti molto bassi fino alla fine del 2015.

Grossman e Slusky hanno comparato i tassi di natalità di Flint a quelli di altre città colpite dall’avvelenamento da piombo. A parità di condizioni socio economiche, hanno evidenziato una diminuzione generale del tasso di fertilità. Secondo gli autori dello studio, l’acqua avvelenata avrebbe provocato un aumento del 58% delle morti fetali.

Fonte: independent.co.uk

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Le cellule staminali producono ovuli nuovi ogni giorno

Già 13 anni fa il professor Jonathan Tilly scoprì che le femmine dei mammiferi producono ovuli nuovi ogni giorno. La scoperta era in aperta contraddizione con la credenza comune, secondo cui il numero di ovuli sarebbe fisso dalla nascita. Ora Tilly e il suo team hanno provato la teoria: le femmine – e le donne – hanno cellule staminali specializzate nella produzione di ovuli.

Jonathan Tilly ha descritto le cellule staminali che supportano la produzione di nuovi ovuli nel 2012. Il nuovo studio condensa otto anni di ricerche descrive tre diversi esperimenti, confermando quanto già affermato. I ricercatori hanno isolato le cellule staminali a partire dal tessuto ovarico di alcune cavie. Hanno così monitorato il transito delle cellule e il loro ruolo anche nel concepimento.

Per verificare l’importanza delle cellule staminali produttrici di ovuli, hanno usato il gene suicida. La tecnologia permette di spegnere e riaccendere le cellule a comando. In questo modo i ricercatori hanno potuto spegnere e riaccendere le staminali, testando le conseguenze sulle ovaie.

Ogni femmina di topo ha circa 1.000-2.000 ovuli. Lo studio rivela che ogni femmina produce 60-70 ovuli al giorno, ma che la produzione rallenta e si ferma man mano che il soggetto invecchia. Ad un certo punto le ovaie continuano a funzionare, ma non hanno più ovuli.

Gli ovuli prodotti dalle cavie in età adulta dalle cellule staminali erano funzionanti. Fecondandoli i ricercatori hanno ottenuto cuccioli sani e in grado di concepire a propria volta. Quindi regolare le cellule staminali delle ovaie potrebbe facilitare il concepimento e, forse, ritardare la menopausa. Quest’ultimo obiettivo è già stato raggiunto in laboratorio su alcune cavie.

Lo stop della menopausa avrebbe effetti benefici che andrebbero ben oltre la possibilità di concepire. Sarebbe un modo per prevenire i problemi legati a questa fase dell’invecchiamento. I topi trattati per non avere menopausa hanno avuto meno problemi alle ossa e ottenuto benefici sul piano cognitivo.

Fonte: neu.edu

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In Giappone 1 bambino su 20 nasce grazie alla IVF

Nel 2015, 1 neonato giapponese su 20 è nato grazie alla fecondazione in vitro. Lo rivela un questionario promosso dalla Japan Society of Obstetrics and Gynecology. L’analisi rivela una crescita costante ed esplosiva di questa tecnica nel paese. Un trend destinato a proseguire in questa direzione, secondo gli esperti.

In Giappone sempre più coppie si affidano alla IVF per avere figli. Secondo i dati raccolti, nel solo 2015 sono stati erogati 424.151 cicli di fecondazione in vitro. Questi si sono tradotti in 51.000 nascite, il numero più alto di sempre per il paese.

Parte della colpa è dell’età media degli aspiranti genitori, anch’essa in crescita insieme ai trattamenti per la fertilità. Il 40% delle donne che nel 2015 si sono rivolte ai centri per la fertilità aveva 40 anni o oltre. Di queste solo il 9% circa è riuscita a concepire e a partorire un bambino sano.

I numeri della IVF sono molto più positivi man mano che l’età si abbassa. Il 21,5% delle donne intorno ai 30 ha avuto successo. Bastano pochi anni per far scendere le percentuali: il 18,4% circa delle aspiranti mamme intorno ai 35 anni ha avuto un bambino. Parliamo quindi di uno stacco di circa 3 punti percentuale.

Secondo gli autori del questionario, è necessario che il Giappone espanda la sua offerta di trattamenti dell’infertilità. Si tratterebbe di un bisogno fondamentale per un paese che sta vivendo un crollo demografico drammatico.

Fonte: news.abs-cbn.com

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Gli uomini eludono i controlli sulla fertilità

Nonostante nel 50% dei casi di infertilità la causa sia l’uomo, gli italiani eludono i controlli sulla propria fertilità. Nelle coppie che decidono di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (PMA), almeno il 25% degli uomini salta la visita dall’andrologo. Una leggerezza frutto di retaggi culturali sbagliati e che aumentano le difficoltà del concepimento.

Gli uomini possono avere problemi di fertilità, nonostante la cosa sia da molti poco accettata. Problemi tra l’altro spesso affrontabili in maniera più facile che con la procreazione assistita. Se le coppie si rivolgessero subito sia al ginecologo che all’andrologo, si eviterebbero circa 8 mila interventi di PMA all’anno. Ciò porterebbe a un risparmio economico di 150 milioni di euro e a un risparmio di fatica e delusioni incalcolabile.

La procreazione medicalmente assistita dovrebbe essere l’estrema ratio in caso di infertilità. Le terapie sono pesanti sia per il fisico che per la mente, specie per la donna. Ciononostante, molte coppie vi accedono saltando la metà dei controlli che sarebbero necessari. Si cercano le cause dell’infertilità nella donna, quando magari sono nell’uomo e sono del tutto trattabili.

Secondo la normativa, possono accedere alla PMA solo le coppie nelle quali entrambi i coniugi hanno problemi certificati. Di fatto, in gran parte dei casi si prendono in esame eventuali problemi maschili solo dopo l’avvio delle procedure. Una scelta che non tiene conto delle statistiche degli ultimi 30 anni, che parlando di un 100% in più dei casi di infertilità maschile.

Fonte: corriere.it

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